Beh, grande! Ho fatto un giro sui post precedenti e ho letto molti commenti che andrebbero ripresi e rilanciati. Lo farò al più presto.
In Italia si può essere laici solo nella misura in cui lo permettono papa e vescovi. E bisogna chiedere permesso. Quindi i problemi dei francesi non ci riguardano.
Non so. Provo a offrire un altro punto di vista. Io penso ci siano diversi livelli d’osservazione, e misure ipocrite per attuarlo: questa idea del Burqa sarà, in qualche misura, mitigata con l’ordine pubblico.
La stessa legge sul velo, nelle scuole francesi, è passata come legge di laicità, e la dismissione di tutti i simboli religiosi, credo fosse un male necessario.
Io credo, però, che lo stato, come chiunque di noi, possa fare una propria obiezione di coscienza, una piccola testimonianza di sé, nel proprio privato. Io posso dire: “no, a casa mia non si entra con la svastica”. Lo posso dire in ossequio al disvalore simbolico di quel soggetto.
Ora, senza sopravvalutare il limitato effetto dell’obiezione di coscienza, che è narcisistica connaturatamente narcisistica, penso che lo Stato possa dire lo stesso: nei miei edificî – perché si parlava di edificî pubblici, non di territorio nazionale – scuole, ospedali, io non permetto che la donna sia discriminata. Non permetto che s’indossi un simbolo che vuoldire la discriminazione della donna, anche se la persona in questione è consenziente.
È esattamente come vietare a qualcuno di entrare a scuola con scritto in fronte “le donne sono inferiori”, che è il preciso significato del velo, e della copertura del corpo femminile nell’Islam – è antipatico da dire, ma chiunque neghi questo fatto non sa di cosa parla, detto da uno che ha vissuto 6 mesi in Palestina – è la dichiarazione di principio che la sede dell’autocontrollo sessuale maschile, è il corpo della donna. Come nell’odioso teorema della donna in minigonna, che “merita” lo stupro.
Ci sarebbe da parlare del sopravvalutato rispetto religioso, di come le idee che si sono affermate come religioni “di moda”, intendo tutte quelle considerate “credibili” – dal Cristianesimo, all’Ebraismo, alle religioni orientali. Il fatto che un simbolo sia espressione di una pr
opria religione non dovrebbe mettere alcuna schermatura, alla critica di tale simbolo. Che io indossi il velo, o il cilicio, per “concezione religiosa” vale quanto portare un velo o un cilicio per mille altre ragioni.
@Giovanni, imporresti l’etica della libertà con l’autorità quindi? Il discorso potrebbe reggere se avessi la sicurezza che tale costume fosse repressivo per “loro”. Il paragone delle svastica omologa il punto di vista emico con quello etico. Tra parentesi, non si pensa per il bene degli altri se non sei sicuro che effettivamete lo sia. Derivazione: obbligheresti a togliere il velo per quale scopo? Quello di esacerbare il conflitto nella loro comunità di sicuro. In merito alla critica dei simboli (espressione), non può derivarne la negazione (azione). La morale, anche la migliore che sia dovrebbe esser lontana della leggi di stato. Altrimenti critichi la religione facendone un altra, la tua. L’unico modo per combattere le morali oppressive, se realmente lo sono, è recepirne l’inesigibilità nella realizzazione dei diritti.
@Emanuele, sull’esacerbare il conflitto fra culture diverse hai probabilemnte ragione, anche se mi chiedo se in effetti non sia un palesare una certa immaturità culturale nel non accettare le critiche cercando il conflitto anzichè il confronto. Dall’altra parte, sebbene sia intellettualmente interessante filososfeggiare su questi quesiti bisogna essere concreti perchè sono problemi veri, che spesso sfociano in male e malessere fisico su persone reali, non su idee… e di questo ce se ne dimentica, parlandone, fin troppo spesso. Se vuoi l’opinione di una donna: ha ragione Emanuele, come tutte le cose, non provandolo, non puoi renderti effettivamente conto quanto sia difficile per una donna, anche in italia, uscire da certi dogmi culturali; percui se per far rispettare certi diritti, come la libertà di scelta che è diritto basilare di ogni essere umano, bisogna imporli: che sia.
@Daniela quando parlavo di conflitti alludevo nella propria comunità d’origine. Nel senso che per fare del bene poi ci rimette la pelle chi toglie il velo per decreto. Questo. Ammetto di averla presa da un punto di vista lontano dalla concretezza. E c’è un motivo, che inorridisco quando vedo la confusione tra etica e diritto. Ovviamente il bersaglio non era il multiculturalismo ma problemi di casa cattolica.
Il conflitto ben venga, ma che sia in relazione agli abusi di diritto e non a zeli su cibi, preghiere, abiti. Leggi sulla donna come quelle proposte sulle quote rosa e simili mancano il bersaglio. Rispetto altre questioni, le abominie che abbiamo in casa, sono frutto un pò della paura ma più dall’isolamento culturale che solo l’ipocrisia perpetua. Quindi è una questione che per esser imposta (diritti) bisogna che prima sia riconosciuta come valevole da voi donne. Molte però accettano meglio il vittimismo che la lotta perché rende di più. Altre addirittura cercano deliberatamente la sudditanza perché è più facile. Insomma è un problemi convincervi che i compromessi si pagano quando la strada è al ribasso.
Ops, non avevo visto – scrivo di qua quello che avevo scritto di là:
Emanuele,
non imporrei l’etica della libertà, no. Trovo, però, un diritto degli individui decidere chi assumere: se il datore di lavoro di Torino – non era quello il caso, ma ipotizziamolo – non avesse voluto assumere la donna velata, perché nella sua azienda le donne hanno lo stesso valore degli uomini. Credo che lo Stato (ti ripeto: negli edificî pubblici) possa fare lo stesso.
Dopodiché, se mi chiedi “funziona?”, io ti dico che delle volte sì e delle volte no. Questo è il mio parere, delle volte servirà a far togliere un velo, delle altre impedir a una ragazza di andare a scuola.
Io, in quanto alla morale, sono utilitarista: secondo me è morale ciò che fa felici il maggior numero di persone. Nulla di più, e – permettimelo – nulla di meno. Chi lo decide? In genere, con dei caveat (es. l’offesa non può essere nell’occhio di chi guarda: io non posso dire che mi “offendi” se metti la maglia della Roma) le persone in questione.
Tu dici: e allora? Perché sei contrario al velo, magari è una loro libera volontà?
Io dico che ciò è frutto di una mentalità “culturalmente” (leggasi: barbaramente) inoculata, che nessuna donna considerebbe il suo corpo uno strumento del diavolo, e una dannazione, se non fosse condizionata.
Bada bene: non posso essere certo, o meglio non posso comportarmi come se fossi certo – per tutti di questo – ma, davvero, che io fondi un’altra religione, questo no.
La mia “religione” si fonda sul basarsi sulle evidenze, sui fatti, sulle prove, in tutti i campi. Dunque sì, vieterei di insegnare a scuola che Gesù è il figlio di Dio, o che Maometto è asceso in Cielo a Gerusalemme: ovviamente fino a che tali fatti siano provati.
Secondo me è questo il problema, quando parli di ricezione nell’esigibilità dei diritti: che, se ammetti argomenti di fede (cioè di convinzioni non suffragate da fatti), non solo manchiamo di un metodo comune – le mille ricette, diverse, che abbiamo per un obiettivo comune – ma manchiamo anche del fine comune: non vogliamo la felicità del maggior numero di persone, ma qualcosa che qualcuno “ha fede” essere migliore della felicità (non ricercare sulle staminali, non andare a letto con chi ti pare, non mangiare il maiale, etc).
Perché la morale non esiste, se non in relazione agli uomini, e questo è il principio stesso che dovrebbe fondare uno Stato.
Ho risposto di là, qui ringrazio Luca invece che senza questo blog avevo perso per strada gli ultimi due neuroni che ancora vogliono lavorare.