Alla Biennale 2011. L’Arsenale. Non c’è modo di non restare incantati dalla bellezza dell’ambiente nel quale si sviluppano le peripezie artistiche dei curatori, delle nazioni partecipanti, delle logiche di marketing e finanziarie.
Si dimentica volentieri tutto quello che la magnifica Sarah Thornton scrive in Seven days in the Art World. La Biennale come il luogo delle feste e gli eventi che generano e rinforzano la logica della comunità che guida e subisce il mondo dell’arte. (Se ne parlava).
Si dimentica, lasciandosi andare all’ascolto delle idee di chi è chiamato a esporle. Con fiducia.
Ho visto, tra l’altro, un tema e una soluzione. Non è un’idea nuova. Ma quest’anno sembrava particolarmente ripetuta. Una serie di serie.
Questa era al padiglione italiano. Ma non era sola. La ripetizione imposta dal contenitore.
Che dà senso a ogni elemento, in quanto si richiama con il precedente.
Si è dimostrata una soluzione molto diffusa, nell’esposizione di quest’anno.
Viene da domandarsi se non sia una soluzione fin troppo facile.
Che consente di mettere insieme particolari del paesaggio, fisico o mentale, ciascuno dei quali sfuggirebbe all’attenzione, ma che nell’insieme si impongono all’attenzione.
Eppure, ci si accorge che alla fine si possono guardare anche immagini non esplicitamente seriali, con la stessa attidudine.
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