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BookBlogging – YOCHAI BENKLER – Collaborazione by design

Riprendo un servizio più continuo di notizie sui libri letti e in lettura. Precedenti qui accanto.

More about The Penguin and the LeviathanLa leggerezza narrativa e la profondità dei contenuti del nuovo libro di Yochai Benkler non sorprende chi conosca l’autore. Un gigante della ricerca sull’economia delle reti e della nuova ricchezza che deriva dalla conoscenza.

Il suo capolavoro The Wealth of Networks (2006) è servito a dimostrare come la ragione economica possa essere trasformata dall’avvento delle reti e dal valore della conoscenza, riformando il mercato e il concetto di libertà (Traduzione: Egea 2007).

Il nuovo libro, The Penguin and the Leviathan (2011) approfondisce le novità teoriche ed empiriche che inducono a ritenere il comportamento collaborativo più efficiente e soddisfacente di quello basato sull’interesse egoistico, ma concentra l’attenzione su un punto cruciale: come si disegnano sistemi che valorizzano la collaborazione, la incentivano in modo ragionevole ed efficiente, senza richiedere un approccio ideologico e utopistico al comportamento umano, allo scopo di aumentare la ricchezza economica e la soddisfazione di vivere.

Benkler fa un lavoro scientifico e non buonista. Semplicemente osserva il fatto che l’assunzione fondamentale dell’economia tradizionale, quella che ritiene l’essere umano essenzialmente egoista, non regge alla prova della verifica storica. Inoltre, osserva che le conseguenze organizzative di quell’assunzione, l’idea della mano invisibile come meccanismo che produce il massimo valore di sistema sulla base del comportamento egoista degli attori economici, non sono le più efficienti e soddisfacenti da nessun punto di vista.

La convinzione che gli esseri umani siano egoisti produce organizzazioni basate sulla paura, sulla diffidenza e sulla punizione, promettendo vantaggi esclusivamente monetari. Inoltre, giustifica gli errori di sistema delle organizzazioni fondate su quell’assunto: è il migliore dei sistemi possibile, gli esseri umani sono egoisti, dunque va accettato il fatto che il capitalismo ogni tanto produce disastri. (Qui, come qualche lettore sa, seguendo il pensiero di Fernand Braudel, si distingue tra capitalismo – come sistema nel quale prevale la legge del più forte – e mercato – come sistema di scambi regolato sulla base di leggi e consuetudini che garantiscono la concorrenza).

Benkler parte dimostrando come negli ultimi vent’anni, la scienza abbia scoperto come la specie umana sia tutt’altro che caratterizzata da un gene egoista. Anzi. Proprio per funzionare come specie sociale si è adattata sviluppando evolutivamente una quantità di caratteri collaborativi, necessari all’azione di gruppo. Si arriva a dimostrare senza troppa difficoltà che gli esseri umani non sono né assolutamente egoisti né assolutamente altruisti. Semplicemente si trovano a comportarsi in un modo o nell’altro date le condizioni in cui si trovano, dati i frame interpretativi con i quali decodificano le situazioni in cui si trovano e dati i caratteri personali che distinguono gli individui.

Se le organizzazioni sono fondate sull’idea che le persone si comportino sempre in modo egoista o sulla speranza che si comportino sempre in modo collaborativo sono destinate a fallire.

I fallimenti umani di tanti trading floor del capitalismo finanziario americano degli ultimi tempi, la disattenzione per le conseguenze ambientali e sociali di una fabbrica chimica ai tempi dell’industrializzazione accelerata, l’immobilismo di un ufficio qualunque nel contesto del burocratismo autoritario sovietico, la tragedia epocale di chi ha fatto l’esperienza di un campo di concentramento nazista, sono esempi diversissimi di assolutismo che conduce a disastri. (Certo, questi accostamenti faranno arricciare il naso a qualcuno e meriterebbero un approfondimento più attento e consapevole, mi scuso per la fretta: non sono paragonabili se non per il fatto che si tratta di organizzazioni fondate su una considerazione assolutistica del comportamento umano).

Ma se oggi ci poniamo, e non possiamo non porci, problemi globali come la salvezza dell’ambiente, la tenuta del sistema economico, la qualità della vita nei territori globalizzati, la qualità dello sviluppo della conoscenza sulle reti digitali, occorre anche una discontinuità logica e ideologica, che ponga l’accento sulla costruzione di piattaforme organizzative capaci di tener presente le reali motivazioni delle persone, per poterne valorizzare l’energia e la forza innovativa. Una discontinuità rispetto alle organizzazioni basate sull’erronea convinzione che gli uomini siano solo ed esclusivamente egoisti. E che prenda le conseguenze del fatto che sono anche collaborativi. E che si renda conto che dalla collaborazione emergono soluzioni spesso migliori, più efficienti, più soddisfacenti.

Benkler dunque passa in esame le caratteristiche delle organizzazioni che favoriscono la collaborazione, senza supporre che le persone siano dei santi. Queste piattaforme organizzative possono essere adattate con le ragionevoli assunzioni alla convivenza civile, alla struttura delle aziende, alla generazione di piattaforme online, alla creazione di movimenti sociali, alla diplomazia internazionale. Ci sono alcuni accorgimenti che il design dei servizi orientati a basarsi sulla collaborazione ha ormai chiarito. La sintesi è nel finale del libro, in 7 punti:
1. Ogni piattaforma collaborativa è basata sulla comunicazione tra i partecipanti. La comunicazione è la chiave del successo del sistema
2. La proposta collaborativa va codificata nella struttura dell’organizzazione in modo che induca a interpretare la collaborazione come conveniente per tutti, in modo autentico e non ideologico
3. La cultura di fondo proposta favorisce e applaude all’empatia e alla solidarietà senza farne un pregiudizio, ma assolutamente osteggiando il pregiudizio contrario, quello secondo il quale in fondo tutti sono egoisti
4. Morale e norme sociali sono disegnate in modo da proporre comportamenti e feedback equi per tutti, accettando che eventualmente qualcuno lavori più di altri ma sottolineando lealmente l’importanza cruciale di chi apporta più valore
5. Punizioni e guadagni vanno commisurati alla condizione in cui si trova l’organizzazione, al progetto comune che persegue, alla qualità culturale che la caratterizza, nella consapevolezza che molti guadagni decisivi sono quelli immateriali, mentre gli incentivi monetari sono sempre interpretati come mezzo e non come fine
6. Reputazione e reciprocità sono le regole di feedback fondamentali per attivare comportamenti collaborativi
7. Le organizzazioni vanno pensate e costruite per contenere la diversità delle persone e delle loro capacità, valori, interessi, orientamenti e caratteri.

Mi rendo conto che il riassuno è troppo veloce. Non resta che prendere il libro e leggerlo. L’ho fatto in formato digitale. Poi l’ho preso anche in carta.

More about The Happiness ProjectIntanto sto leggendo anc
he:
1. The Moral Landscape, di Sam Harris
2. The Consolations of Philosophy, di Alain De Botton
3. The Happiness Project, di Gretchen Rubin

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  • grazie!
    interessantissimo post… qualcosa di simile è dimostrato dalla teoria dei giochi e dal “dilemma del prigioniero” (vedi John Nash)… come insegnante faccio sempre alle mie classi il gioco “Rosso o Nero” presente sulla raccolta “L’Economia giocata” (non ricordo gli autori) che vuole spiegare con il gioco proprio questa idea. A volte sono sconvolto di quanto presto i ragazzi capiscono che la cooperazione è l’unica via al “successo” e che la competizione porta al “fallimento”.

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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