Non sono un politico. Non capisco la politica politicante, la subisco. Mi rivolgo alla mia comunità per contribuire a comprendere a che cosa dovremmo imparare a stare attenti. In questo post, in un periodo apparentemente denso di novità, mi pongo una questione classica: che cosa sono la destra e la sinistra? Mi accingo a cercare risposte con la massima umiltà, per la mia scarsa esperienza ma anche per la complessità del tema. Questa è una seconda puntata. (La prima è qui)
Per qualche bizzarra ragione, le prossime elezioni potrebbero essere viste come una nuova edizione dello scontro tra destra e sinistra in Italia. In effetti, non ci sono molti motivi per pensarlo davvero, vista l’eterogeneità dei partiti che sono in campo nelle due potenziali coalizioni.
Ma poiché di fatto gli elettori si troveranno di fronte a una scelta netta tra due aggregazioni (sempre che riescano ad aggregarsi in tempo), gli esperti dovrebbero intervenire per studiare i possibili scenari dell’eventuale vittoria di una due posizioni e immaginarne le conseguenze.
Le somiglianze tra i due potenziali schieramenti sono meno rilevanti di quanto possa pensare un cittadino che frustrato per qualche motivo dalla politica si trovi a sostenere il pregiudizio secondo il quale “sono tutti uguali” e dunque non voto.
Somiglianze. Per adesso i due schieramenti non si sono ancora formati; quando si formeranno non saranno particolarmente omogenei; saranno alleanze elettorali necessarie per adattarsi alla legge elettorale
Differenze. Le storie e le posizioni valoriali sono diverse: a destra, maggiori probabilità di chiusura localista o nazionalista, di ammirazione per la Russia, di disdegno per l’Europa, di accettazione dell’utilizzo violento dei social network; a sinistra, maggiori probabilità di posizioni ambigue e incerte, con giustapposizione di orientamenti opposti, dal neoliberismo al suo contrario.
Per fare uno studio delle conseguenze della vittoria di uno o dell’altro degli schieramenti si dovrebbe magari poter leggere un’analisi dei risultati politici ottenuti dai diversi partiti in passato. Non è il caso di pensare che io sappia proporla qui. Posso soltanto esemplificare quello che si potrebbe trovare.
L’analisi dei risultati dei loro governi, regionali e nazionali, è piuttosto variegata. A giudicare dalla soddisfazione dei cittadini e dagli indicatori standard, si può dire che l’Emilia Romagna guidata dal PD stia molto bene, ma non si può dimenticare che il Veneto guidato dalla Lega sta anche piuttosto bene. Le esperienze deludenti, in questo senso, sono diffuse a destra e sinistra, forse legate alle direzioni di sviluppo delle regioni più che alle abilità amministrative dei partiti. L’eccezione è forse la Lombardia che pur avendo uno sviluppo eccezionale ha subito un’amministrazione di scarsa qualità, guidata dalla Lega, almeno a giudicare dalla gestione della pandemia.
L’analisi dei risultati dei governi nazionali è più complessa ovviamente. Anche in questo caso è relativa alle condizioni storiche nelle quali si sono svolte le vicende che li hanno riguardati. Ma si può forse dire che assistiamo a un paradosso: nei periodi di massima crisi, quando ci sono stati governi di unità nazionale, i risultati sono stati migliori di quelli ottenuti nei periodi di governo di una parte. Significherebbe che il mantra secondo il quale la vittoria di una parte è più legittima del compromesso tra le parti non è tanto condivisibile.
Non si può nascondere peraltro che i governi di sinistra della fine degli anni Novanta hanno accompagnato il paese nell’euro, i governi di destra dei primi dieci anni del Duemila hanno favorito la crisi finanziaria che poi il governo guidato da Mario Monti e i governi di sinistra hanno dovuto affrontare, con qualche successo. I governi della confusione, dopo il 2018, non hanno mostrato una chiara capacità di generare risultati, almeno dal punto di vista delle riforme pragmatiche e consapevoli che si sono invece viste a partire dall’avvento del governo guidato da Mario Draghi.
I risultati probabili discendono dalle strutture delle quali le aggregazioni sono formate. Ma non è facile, per me, prevedere.
A destra ci sono partiti molto diversi. Andranno d’accordo nel caso che vincano? Fratelli d’Italia non ha mai nascosto le sue radici neofasciste, come scrive il New York Times. La Lega, il più antico partito ancora in funzione in Italia, l’unico che c’era prima di Tangentopoli, ha questa doppia anima: in parte rappresenta le società del Nord, in parte cerca di aumentare i consensi con battaglie radicalmente conservatrici, come quella contro l’immigrazione, a favore di una sorta di flat tax, ondivaga su molte altre questioni che testa sui social e mantiene solo se trovano consenso. Forza Italia è il partito dell’ex iperindagato Silvio Berlusconi che ogni tanto cerca di apparire come uno statista responsabile, ma alla fine non resiste ad anteporre i suoi interessi a quelli del paese, come dimostrato nel caso del voto che ha chiuso l’esperienza del governo di Mario Draghi. In due casi, questa aggregazione ha governato con una larga maggioranza, senza lasciare tracce significative di riforma del sistema italiano.
A sinistra l’eterogeneità è anche più marcata. Dal punto di vista antropologico, unisce neoliberisti, socialisti, cattolici, sindacalisti, dipendenti pubblici, imprenditori, operai, politici di professione, ecologisti, e molti altri. La superiorità culturale della quale si sentono portatori molti aderenti a questa parte talvolta li spinge a dare per scontato che gli elettori la riconoscereranno: sarà vero? L’esperienza di governo di questa aggregazione è solida nelle città e nelle regioni, piuttosto ballerina nel governo nazionale, anche se il governo guidato da Paolo Gentiloni ha ottenuto risultati di politica economica piuttosto notevoli. Del resto, la sinistra da tempo non riesce a sfondare sul piano dei consensi, sicché quando vince le elezioni si trova poi spesso a gestire con maggioranze risicate e soggette a modifiche in corso d’opera. I temi unificanti potrebbero emergere nella relazione costruttiva con l’Europa, in una posizione forte sulla transizione ecologica, in una convinta spinta per l’equità sociale. Ma in un mosaico di tendenze come quello che si vede a sinistra è difficile che emergano affermazioni forti e univoche. Il che resta un punto di debolezza. Aggravato dalle maggiori difficoltà che la sinistra incontrerà probabilmente ad arrivare a una aggregazione elettorale di quelle che troverà la destra.
Il terzo incomodo potrebbe essere meno rilevante che nelle elezioni precedenti. Nel recente passato la crescita e il declino del Movimento 5 Stelle ha cambiato le carte in tavola, per un po’, ma non ha lasciato segni permanenti del suo passaggio. Nelle prossime elezioni, visto il posizionamento recente del Movimento voluto da Giuseppe Conte, potrebbe avere semplicemente l’effetto di ridurre i voti che vanno a sinistra. Alessandro Di Battista potrebbe portare via qualche voto anche a destra. Ma chissà se farà in tempo a rientrare in gioco nel Movimento o se sceglierà di aggregarsi direttamente alla destra.
La destra riesce a convincere gli elettori affermando che la sua ideologica visione della storia porterà al risultato: lasciando libero il mercato si avrà la massima ricchezza; cercando il consenso degli elettori con qualunque mezzo si esprimerà la democrazia; impedendo agli esperti di approfondire quando le loro conclusioni non coincidono con i pregiudizi della destra; e così via. Un approccio autoreferenziale, nel quale basta affermare una cosa per convincersi che è vera.
La sinistra non ha un’identità ideologica facilmente esprimibile, dunque riesce a convincere gli elettori quando ha candidati che spiegano bene la sua materia complessa e punta direttamente ai risultati. Questo tipo di argomentazione però spesso appare difficile perché i gruppi sociali che sostengono la sinistra sono talmente diversi che talvolta gli esponenti di questa parte devono assumere un linguaggio astratto per non scontentare qualcuno, il che li conduce a perdere chiarezza ed efficacia.
Se non si sciolgono queste ambiguità si rischia una campagna arrabbiata e poco efficace nel definire le policy volute dalle due parti. La destra deve dimostrare di essere davvero democratica, nonostante le apparenze. La sinistra deve dimostrare di essere davvero in ascolto del suo elettorato, per poterlo mobilitare. Il rischio è che nulla di tutto questo venga fatto davvero. E che questa volta l’esito delle elezioni sia guidato dalle previsioni sondaggistiche invece che dagli interessi degli elettori a confronto con le affermazioni dei candidati.
Finirebbe che vince chi è più organizzato per le elezioni, ma non necessariamente chi vale di più al governo.
Che cosa potrebbe sparigliare? Qualche idea ci potrebbe essere. Ma è materiale per una prossima storia.
Foto: “Elezioni Politiche 2008” by agenziami is licensed under CC BY-SA 2.0.
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