La storia è comica. E un po’ tragica. Più tragica che comica.
Il volo American Airlines sta per partire da Philadelphia per Syracuse. La giovane bionda scruta l’uomo che si trova sulla poltrona accanto a lei. Ha i capelli scuri, la pelle olivastra, l’accento straniero e sta appuntando qualcosa usando strani segni. La giovane bionda si preoccupa. E denuncia il suo compagno di viaggio al personale della compagnia aerea. Che decide di dover prendere provvedimenti. L’uomo viene portato fuori dall’aereo e interrogato da un agente. Gli chiede conto degli strani segni che stava annotando. Si sospetta che siano in arabo. L’indagato si mette a ridere. Spiega di essere un professore italiano, Guido Menzio, che insegna economia all’università di Pennsylvania e che quello che stava annotando non era arabo: era un’equazione differenziale (WashingtonPost).
Il volo è stato ritardato per due ore. Per una denuncia assurda, basata su totale ignoranza. Ma se fosse stato arabo, quello che scriveva il professore, che cosa gli sarebbe capitato? E comunque: com’è possibile che ci vogliano due ore per una cosa del genere? La procedura è troppo rigida, evidentemente. Il sogno americano è un incubo quando è vissuto da persone di buona educazione che incontrano la burocratica ignoranza dei controlli antiterrorismo (Bbc).
Non è certo un fatto isolato. Il fatto di aver parlato in arabo ha causato problemi a un altro passeggero su un altro volo. Un video di Washington Post racconta qualche bizzarro episodio di questo genere.
Qualche anno fa, per aver dichiarato apertamente di essere un giornalista pur non avendo fatto in tempo a rinnovare il visto specifico prima di partire per una visita veloce negli Stati Uniti finalizzata a un’intervista nel quadro di una conferenza della quale avevo tutta la documentazione, sono stato respinto all’immigration dopo un interrogatorio di ore e rimandato in Italia. Non ero il solo: di fronte all’incredibile quantità di casi del genere, pochi giorni dopo, una circolare dell’ufficio di Washington che si occupa di queste cose ha precisato che “i giornalisti non sono più da considerare come una minaccia per la sicurezza nazionale”.
La paranoia burocratica e procedurale trasforma il sogno americano in un incubo straniero. La vicenda Trump non lascia pensare che la paranoia stia guarendo. Governare con la paura è pur sempre un buon trucco. Ma se un gigante come l’America decide in base alla paura e non alla responsabilità sono guai per tutti. Comici, talvolta. Tragici, in altri casi.
L’America è il paese della libertà, come ricorda la campana di Philadelphia (foto). Ha bisogno di ritrovare l’orgoglio di esserlo in nome di tutti gli umani e non soltanto per gli elettori e i finanziatori dei politici.
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