Avevo seguito via Twitter un convegno sulla privacy all’epoca di internet. Un tweet che riguardava il filosofo Maurizio Ferraris mi aveva molto interessato e lo avevo retwittato, per poi citarlo en passant anche oggi su Nòva.
Trovo meraviglioso il messaggio che Maurizio Ferraris mi ha inviato per raccontare com’è andata veramente. Gli ho chiesto se potevo postarla qui. Ha risposto di sì. E dunque ecco qui la storia raccontata dall’autore:
Caro Luca, solo una precisazione visto che hai avuto la gentilezza di riprendere e commentare tweet riferito a me, in cui avrei detto che il digitale rende schiavi e sarei stato applaudito. In effetti, questi tweet sono frammenti dei presocratici, e si prestano a tante interpretazioni.
Sarebbe stato bello e sottilmente comico se avessi detto al pubblico “siete una massa di schiavi” e loro mi avessero applaudito: più schiavi di così… In realtà era diverso.
Dicevo che era sbagliato l’atteggiamento nei confronti della tecnica che suppone una umanità perfetta che sarebbe alienata dalle macchine. Non siamo perfetti, siamo strutturalmente dipendenti, diventiamo autonomi molto dopo gli altri animali, questo spiega il bisogno di tecnica, e il nostro desiderio di sottomissione.
La tecnica non è alienazione di un in sé perfetto ma rivelazione di una umanità sempre in fieri.
A quel punto ho mostrato l’iwatch che IO ho al polso e ho detto che me lo ero comprato e ne eseguivo gli ordini dietetici, dunque mi ero comprato le mie catene, e lì mi hanno applaudito, credo perché sia un sentimento condiviso.
Siamo strutturalmente dipendenti. La libertà è una conquista. La filosofia è un percorso di libertà.
vedi anche:
«Schiavi del digitale»
Documentality and technoevolution
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