Le multinazionali della rete, come Google, Facebook, Apple, Amazon e Uber, appaiono come sistemi decisionali sempre più autonomi dagli stati. Lo si vede nella questione fiscale, ma non solo. E man mano che – oltre alla loro forza nell’economia reale e nella finanza – cresce anche il loro potere politico, diventano potenziali target per forme di azione rivoluzionaria, o controrivoluzionaria.
D’altra parte, con la frammentazione del corpo sociale, anche l’aggregazione dei gruppi rivoluzionari – o controrivoluzionari – diventa più frammentaria. Quasi di nicchia. La lotta sociale si scioglie in un insieme di operazioni di minoranza, con un avversario di solito poco riconoscibile e individuabile, a sua volta sciolto nel concetto impalpabile di mercato quando è usato come copertura ideologica del capitalismo (*).
In Francia, la rivoluzione – o controrivoluzione – dei tassisti contro Uber è un segnale di tutto questo. Imho.
Resta da decidere se si tratti di rivoluzione, controrivoluzione o semplice rivolta. Propendo per l’ultima ipotesi: una rivoluzione ha bisogno di un’elaborazione intellettuale. Una controrivoluzione ha bisogno di un regno da restaurare. Per una rivolta basta qualche auto incendiata.
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(*) La distinzione tra mercato e capitalismo è suggerita da Fernand Braudel: mercato è il luogo della concorrenza e delle regole per il suo mantenimento; capitalismo è il potere di chi detiene risorse economiche e finanziarie elevatissime, riuscendo tra l’altro a coltivare alleanze politiche strumentali a tale potere.
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