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Una cultura che serve all’agenda digitale del paese

Il ministro del Lavoro Enrico Giovannini ha detto oggi a un convegno organizzato dall’Agenzia per l’Italia digitale che un sostrato culturale orientato all’innovazione è una precondizione essenziale per il successo dell’agenda digitale. E che secondo tutti gli indicatori, l’Italia è in ritardo. Fino a che l’innovazione è vista come un costo o una fatica, un’attività non strettamente necessaria, manca la motivazione più importante a cogliere le occasioni offerte dalla rete. I piani del governo ci sono, dice Giovannini, che li ha elencati. E il ministro per la Coesione territoriale Carlo Trigilia ha anche mostrato come e dove si trovano i fondi necessari. Mentre Letizia Melina del Miur ha parlato delle azioni previste dalla Pubblica istruzione. Vedremo.

Sta di fatto che senza questa cultura e queste competenze le persone non sono in grado di vivere in un mondo moderno, l’economia è frenata, la società è bloccata e chiusa.

Una lunga parte della mattinata è andata nella spiegazione degli standard con i quali in Europa e in Italia si valutano le competenze culturali e professionali per il mondo digitale. E va bene. Ma ora che siamo in grado di misurare il ritardo e il risultato delle azioni decise per colmarlo, si vuole vedere un avanzamento sensibile e veloce.

Agostino Ragosa, direttore generale dell’Agenzia per l’Italia digitale e Domenico Casalino, amministratore delegato della Consip, hanno parlato dei piani di investimento nella digitalizzazione e di una logica sensata per portarli avanti in modo efficace. Hanno mostrato una fortissima sensibilità per i temi relativi alle competenze, anche se la questione culturale è molto più ampia.

Sono venute fuori cifre astronomiche. Ogni anno lo stato spende 5 miliardi circa in informatica. A questo punto dovrebbe essere un missile digitale. Ma non lo è. Dice Casalino: «Sul totale dei casi di inefficienza nel procurement pubblico, il 17% dipende da corruzione e l’83% dipende da incompetenza». Numeri che fanno venire i brividi.

La cultura si adatta al cambiamento, ma lentamente. Però gli investimenti che si fanno in cultura danno valore a tutti gli altri investimenti. Se questo è vero occorre probabilmente smettere di spendere più soldi e attenzione in attrezzature che in capacità culturali. Si tratta di alfabetizzazione per la cittadinanza, di competenze che servono a tutti sul lavoro e di competenze professionali per gli specialisti di informatica. Tutte queste competenze devono crescere. E il paese deve abituarsi a pensare in chiave di innovazione senza paura e senza pigrizia. Occorrono soldi. E occorre attenzione. Occorre un messaggio chiaro, forte, dedicato al paese e non legato al ciclo elettorale. La visione è che si va nella direzione della modernizzazione, senza se e senza ma, indipendentemente dal dividendo elettorale immediato e indipendentemente dal ciclo dei governi. È una questione di tutti noi. Che non riguarda questioni difficili, dice Francesco Caio, perché la tecnologia è molto meno complicata di quanto gli specialisti vogliano far credere. Ma riguarda questioni di organizzazione e tensione politica orientata al lungo termine.

È proprio questo il deficit più grande: una visione di lungo termine che qualifica il senso dell’innovazione. A forza di reagire all’ultima emergenza non ce la facciamo. Ma quello che c’è da fare lo sappiamo. In molte regioni d’Italia la consapevolezza è cresciuta. Parlo di quelle che conosco più direttamente, come il Trentino, l’Emilia Romagna, il Lazio, e più indirettamente, come il Piemonte, la Lombardia, l’Umbria, la Toscana, il Veneto, la Puglia, la Sardegna. Le autorità locali sono forse più adatte alla visione di lungo termine. Ma è assurdo pensare che sia impossibile che anche l’autorità nazionale cominci a pensare al lungo termine sul serio: in fondo, l’autorità nazionale è un’autorità locale alla scala dell’Europa e del pianeta.

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  • […] I problemi che riguardano lo sviluppo dell’Italia sono noti da tempo. Per quanto riguarda la soluzione degli stessi, c’è un nutrito gruppo di individui – basato su metodi tutt’altro che infondati- che ne parla da tempo. La rivoluzione dei dati non è che uno di questi aspetti per la proliferazione di una cultura che serve al progresso del Paese. […]

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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