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Rete Telecom Italia: la separazione ha senso indipendentemente dall’entrata di H3G

La rete Telecom Italia è una ricchezza di enorme valore. Non solo per il valore finanziario, ma anche perché serve ad abilitare lo sviluppo dell’internet libera e neutrale della quale il paese ha enorme bisogno. La sua separazione dalla Telecom Italia ha senso da molto tempo. Ma questa idea non era presa in considerazione fino a poco tempo fa e anzi criticata come un vero e proprio attentato all’indipendenza strategica dell’azienda.

Il fatto che adesso venga invece concessa alla discussione l’ipotesi di realizzare la separazione della rete in concomitanza con il ventilato passaggio del controllo della grande compagnia telefonica italiana a un gruppo basato a Hong Kong – mentre in passato era negata sulla base della convinzione che fosse un patrimonio aziendale irrinunciabile – si può interpretare solo, si direbbe, in base a due opinioni alternative: 1. non era vero che era un patrimonio aziendale irrinunciabile; 2. si vuole dare al magnate di Hong Kong il controllo su una società che non possiede una parte essenziale del suo business.

Insomma. Il controllo diretto della rete era irrinunciabile per una Telecom Italia italiana, non lo è per una Telecom Italia non italiana. Era irrinunciabile per un’azienda indipendente. Non è irrinunciabile per un’azienda venduta a un gruppo straniero. Era irrinunciabile per i soci e i dipendenti di una grande compagnia che doveva sviluppare una strategia autonoma e destinata a durare, non è irrinunciabile per un’azienda che dovrà limitarsi a sviluppare un business finché dura. Tutte queste sono solo interpretazioni, non informazioni, naturalmente. Ma sembrano interpretazioni abbastanza razionali.

D’altra parte bisogna ammettere che se H3G – relativamente piccola – pensa di poter acquisire il controllo di una società come Telecom Italia – relativamente grande – con il solo apporto delle sue azioni significa che comprende che l’operazione le concederà il possesso di una società molto ridotta rispetto all’attuale Telecom Italia, comunque gravata di molti debiti e priva di un asset fondamentale come la rete.

Sicché si potrebbe pensare che l’idea sia quella di creare una società della rete non troppo appesantita da debiti e fondamentalmente libera di sviluppare un compito di connessione del paese adatto a sostenere la modernizzazione dell’economia digitale italiana. In questo caso, il risultato dell’operazione non sarebbe poi tanto male. Anche se alla fine tutto il business della nuova società della rete dipenderebbe dallo stato: perché nell’azionariato avrebbe un peso significativo la Cassa Depositi e Prestiti, perché le entrate della società dipenderebbero da prezzi e canoni discussi a livello politico, perché le regole di utilizzo della rete da parte delle compagnie di servizi telefonici sarebbero definite dalla legge, perché l’Agcom potrebbe intervenire a ogni passaggio. E così via.

Potrebbe essere una cosa positiva: una compagnia privata come l’ex Telecom Italia non investiva ovviamente per lo sviluppo del paese ma per lo sviluppo del suo business e quindi non andava con le fibre ottiche e gli altri sistemi di allacciamento dove c’era bisogno di sviluppo ma dove c’era una domanda già sviluppata; inoltre, non offriva alla concorrenza i suoi servizi di rete senza pensare anche a difendere i propri interessi; infine, non aveva una priorità chiara nell’internet fissa e dunque nella netralità della rete.

Potrebbe essere invece una cosa negativa, se su questa operazione dovesse ricadere la mancanza di visione politica che attanaglia il momento storico attuale.

Si tratta, come si vede, semplici ipotesi interpretative. Un fatto però è certo: si tratta di un’operazione di importanza enorme. Sulla quale occorre accendere un faro molto luminoso. Anche perché se alla fine tutto si traducesse solo in una ripubblicizzazione della telefonia, impoverita dal passaggio privatistico, non si potrebbe certo esserne soddisfatti.

Vedi:
Sole 24 Ore

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  • grandi fregature hanno sempre un buona causa come alibi…. Condivido la speranza ma le premesse non mi aiutano ad essere ottimista e spiego: prima di tutto ho un cattivo esempio davanti, la privatizzazione di Telecom, con il progressivo impoverimento della stessa, sia dal punto di vista economico/finanziario, sia da quello degli skill. Ci aspettavamo tutti meno ingerenza della politica, meritocrazia, velocità e imprenditorialità, invece….
    Ora sullo scorporo mi domando come un Condominio Italiano possa avere una governance sufficientemente unitaria e “vision” per diventare il motore dello sviluppo di una infrastruttura chiave per il paese. Le scelte avranno impatti forti non solo sull’economia ma anche sulla customer experience e sulla rete domestica all’interno degli appartamenti. Sarà chiave la scelta sul modello di governance delle decisioni cioè il copione e la qualità degli interpreti. Oggi anche al di fuori delle TLC mancano in Italia iniziative che suscitino speranza e ottimismo. Speriamo bene e sono d’accordo: faro luminoso (e indipendente) sul tema.

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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