Ancora una volta Alfonso Fuggetta pone un problema che non si può aggirare. Osserva, Fuggetta, come la software house italiana Viamente – specialista in programmi per la logistica – sia stata acquisita con soddisfazione per i fondatori da un’azienda americana, un gigante globale del settore. Gianluca Dettori ne parla con grande competenza su Che Futuro.
Fuggetta, da parte sua, pur nell’apprezzamento per i risultati ottenuti dai protagonisti della vicenda, si domanda se questa vendita non vada considerata come un impoverimento del sistema economico e tecnologico italiano. E pensa che se tutte le start-up tecnologiche italiane finiscono per essere comprate da stranieri, qualcosa non va.
[hang1column]Un bilancio tutto da scrivere[/hang1column]
Che cosa resta all’Italia di un’azienda italiana che ha avuto successo e viene acquisita all’estero? Non si sono certezze in materia. C’è sicuramente un bilancio con attivi e passivi. Abbiamo perso competenze, quote di mercato, beni tecnologici e altro. Abbiamo guadagnato capitali, credibilità, imprenditori che possono fare altre start-up. Ma il risultato finale non è scontato. Ecco alcune considerazioni sparse, tutte da mettere in ordine, discutendone.
Il fatto è che raramente le grandi aziende italiane comprano le start-up che hanno avuto successo, tecnologicamente o economicamente, a un prezzo simile a quello che sono disposte a pagare le straniere. E questo è un loro problema. Che ne dimostra la debolezza. Inoltre, nello specifico, le aggregazioni nel settore del software in Italia soffrono sempre dell’asfittico sistema economico locale. La tendenza a cercare il mercato internazionale è un’ovvia conseguenza per i più intraprendenti startupper: trovano più mercato, trovano più competenze, trovano più soldi.
Del resto, il mercato del software è molto internazionale per quanto riguarda le soluzioni ad alto valore aggiunto, mentre a livello regionale è forte per le localizzazioni e per le specificità dei sistemi burocratici locali. È probabile che chi cerca di fare software di alto livello sarà sempre più internazionale e incontrerà sempre più opportunità a livello internazionale che italiano.
Vendere aziende all’estero, del resto, fa affluire capitali in Italia. E se in Italia diventasse più facile aprire un’azienda tecnologica, può darsi che un buon flusso di vendite di start-up all’estero possa fare aumentare anche i capitali che vengono in Italia a finanziare altre start-up.
Un paese specializzato nelle produzioni ad alto valore aggiunto e a basso volume, del resto, non ha giganti globali in grado di valorizzare un ricco ecosistema di start-up. Certo, un atteggiamento più aperto alle acquisizioni di start-up da parte delle aziende medio-grandi sarebbe un’importante innovazione di sistema e favorirebbe l’innovazione nei settori vicini alle specializzazioni italiane: abbigliamento, arredamento, alimentare, automazione industriale, e così via.
Di certo, quello che non dobbiamo perdere è la capacità di generare persone competenti e brave quanto quelle che hanno creato Viamente. Dobbiamo coltivare le nostre università, aiutarle ad aiutare i ragazzi a vedere nella creazione di start-up una soluzione desiderabile e praticabile, favorire la filiera delle start-up e sperare che la maturazione delle grandi imprese costrette sempre più a confrontarsi sul mercato internazionale arrivi anche alla comprensione del fatto che acquisire start-up è come fare ricerca, con rischi ridotti e soddisfazioni potenziali aumentate.
Aprire un’azienda tecnologica ( o in qualsiasi altro settore) in Italia e’un impresa che scoraggia persino i più’ decisi. In altri paesi (quelli anglosassoni per primi) si riesce a fare tutto utilizzando Internet.Basta osservare il fenomeno dei micro-lavori online.
[…] Certo, in Italia mancano aziende di dimensioni medio-grandi che abbiano voglia di scommettere sullo sviluppo di queste nuove realtà. E quindi il problema non può essere solo rilanciato a chi fa startup, né tantomento può divenire una scusa per non promuoverne lo sviluppo. Condivido quello che scrive Luca De Biase: […]
penso che gli ex titolari di questa sw house si siano finalmente tolti un “peso”… non dovranno più temere il giorno che la banca, per via di un allineamento dei pianeti nel sistema solare o altra “smania”, possa ridurre il fido o chiuderlo del tutto. Il problema delle imprese italiane, infatti, è solo uno: le banche!
Avevo già letto qualcosa sull’argomento, ma un approfondimento ed un nuovo punto di vista sono sempre utili.