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Crescita e start-up. Per abbattere qualche italico muro di gomma

In questi giorni si riparla di start-up perché il capo del governo ha chiesto ai suoi ministri di prepararsi a fare proposte circostanziate su possibili misure a favore della crescita per subito dopo le ferie. E tra le misure attese ci sono quelle che riguardano le possibili facilitazioni per la nascita di nuove imprese innovative in Italia (Corriere e Stampa).

L’Italia non è particolarmente ospitale per le nuove imprese innovative. Il peso del fisco e della burocrazia sono spesso citati come problemi pesanti. La mancanza di capitali è qualche volta chiamata in causa. Questioni di mentalità sono anche evocate. Di certo, alcuni paesi che fanno competizione all’Italia nell’attirare capitali e talenti – dalla Svizzera all’Austria, tanto per non andare lontano – hanno già attuato riforme tese ad attirare le risorse fondamentali per un’economia innovativa. Una task force stata chiamata dal ministero dello Sviluppo per produrre un rapporto in materia che sarà presentato in settembre. Da quel rapporto, si spera, verrà fuori una riforma operativa. Ma perché c’è tanta attesa? E come si dovrà valutare l’impatto di questa riforma?

Il fatto è che le start-up sono un nodo cruciale per una serie di problemi che riguardano il paese. Certo, se ci sono molte start-up c’è anche più attività economica, quindi probabilmente crescita. Ma è anche più importante osservare che se si sviluppano più start-up basate sull’innovazione – non solo ma certamente anche tecnologica – tutto il sistema produttivo accelera nel processo di adeguamento a un contesto competitivo sempre più esigente: di fatto, le start-up svolgono un ruolo preciso, fanno una sorta di ricerca che entra in circolazione nell’economia in modo molto pragmatico e produttivo. Infine, l’aspetto più affascinante di un contesto economico favorevole alle start-up è la loro capacità di generare una mentalità orientata a cercare opportunità piuttosto che ad aspettarne.

C’è anche da dire che direttamente e – ancor più – indirettamente, le nuove imprese sono responsabili della maggior parte dei nuovi posti di lavoro che le economie occidentali sono oggi in grado di creare, come osserva l’economista John C. Haltiwanger (Festival dell’economia di Trento). Generano nuova occupazione direttamente e indirettamente attraverso l’indotto di servizi dei quali necessitano.

Il tema delle start-up, in sostanza, è un crocevia fondamentale per la crescita, l’occupazione, l’innovazione del sistema produttivo. E frenarle significa frenare alcune tra le dinamiche più importanti di un’economia contemporanea.

Non si possono creare start-up per decreto. Ma si possono eliminare gli ostacoli assurdi che il sistema italiano ha mantenuto in piedi sulla strada delle nuove imprese innovative. Sarà ovviamente un processo lungo. Ma avrà un effetto immediato: offrirà una prospettiva.

È una grande visione. Si spera che non sia soffocata sul muro di gomma.

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  • Tutto giusto.
    Ma, come giustamente dici, le start-up non nascono per decreto; perché possano nascere sono necessarie una serie di condizioni.
    Per esempio che lo stato investa in ricerca (soprattutto ricerca di base ma anche ricerca operativa), e magari che lo faccia attraverso le università. Invece la spesa per ricerca è come sempre a livelli bassissimi, la metà dei francesi e ancor meno rispetto ai tedeschi; e le università vengono da tempo prosciugate, sia dal punto di vista finanziario che da quello dell’autonomia didattica.
    Poi la burocrazia deve essere semplice ed efficiente. Invece vediamo tagli indiscriminati agli enti locali che non favoriscono minimamente una (necessaria) riqualificazione della spesa, ma solo, quando va bene, un modesto risparmio.
    Poi servirebbe un sistema finanziario capace di scommettere su idee innovative, mettendo soldi veri su progetti meritevoli. Le nostre banche questo non lo hanno mai fatto né hanno alcuna intenzione di farlo adesso.
    Le strart-up possono veramente essere un elemento importante del rilancio italiano, non solo economico. Ma la loro esistenza dipende da condizioni che vanno create, e questo governo (come i precedenti) non sta andando in questa direzione. Vorrei sinceramente sbagliarmi, ma questa è l’ennesima presa in giro che questa banda ci sta rifilando.

  • sull’argomento se ne è discusso molto e io trovo particolarmente interessanti le proposte in questo post: http://www.bruschi.com/?p=778 so che sono arrivate anche a componenti della task force di Passera e mi auguro vivamente possano essere state di spunto per le scelte del governo.
    Di certo è molto meglio integrare il nuovo con il vecchio, piuttosto che svilupparne uno a danno dell’altro.

  • Sì, va bene… e l’agenda digitale, e il digital divide italiano, e gli investimenti sulle reti, e le aste sulle reti, e la rapidità con cui devono essere fatti tutti questi interventi (siamo già in ritardo), e la programmazione degli investimenti futuri, e i tagli alla ricerca, e lo stato dell’istruzione in Italia?
    Dite sul serio o state scherzando? La realtà del Paese, da decenni, è il contrario di quello che servirebbe attuare, da decenni. Qualche dubbio sul futuro purtroppo ce l’ho. Dimostratemi che mi sbaglio.

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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