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Economia, giovani, imprese: la paradossale convenienza dell’altruismo

Se è vero quanto registra il Censis, un quinto dei ragazzi italiani tra i 15 e i 29 anni non è coinvolto in un’attività educativa o lavorativa. Se è vero quello che registra l’Istat con il Cnel, l’argomento più importante per gli italiani, tra quelli che riguardano le speranze di migliorare il proprio benessere, dopo la salute, è che si trovi un lavoro per i figli. E se è vero quanto riferiscono le statistiche e le esperienze dei principali paesi sviluppati, la nuova occupazione si crea attraverso la creazione di nuove imprese. Sappiamo anche che non tutti i ragazzi saranno imprenditori e che il lavoro dipendente resterà una delle più importanti possibilità per molti di loro. Uno sviluppo armonico riparte da un insieme di fenomeni: alcuni sono capaci di generare energia sociale e dinamismo, come le start-up, altri servono a generare sicurezza e solidità, come l’apertura delle imprese consolidate ai giovani che cercano esperienze professionali. E di certo non è finita qui: le precondizioni di uno sviluppo armonico non stanno solo nel mondo delle imprese: sono nel contesto infrastrutturale, nell’educazione, nella connessione ai mercati internazionali. Impossibile, irrealistico, paradossale pensare che un governo possa essere capace di vedere tutto l’insieme delle misure che sono necessarie per curare un’economia stanca e malata. Difficile che siano le imprese esistenti a realizzare una visione d’insieme tanto ampia. E certo non saranno i giovani a poterla realizzare se vengono costantemente tenuti fuori dal sistema produttivo in percentuali tanto importanti.

Quello che potrebbe succedere è una sorta di intuizione generale. Che porti a collaborare le diverse entità che prima si combattevano, in modo dichiarato o latente.

Può succedere?

La biologia segnala che l’evoluzione di certe specie le ha condotte a scoprire che la sopravvivenza del loro patrimonio genetico richiede il sacrificio di alcuni individui più forti a favore di altri individui più deboli (Lehrer). Un sacrificio anche piccolo, ma illogico: che pure avviene e tiene insieme il destino di una specie.

L’approccio egoista è solo una delle possibili strategie. E molto spesso non è la migliore. Ma per ogni individuo, l’adozione di una strategia altruista dipende da un salto di astrazione rispetto ai suoi bisogni e alle sue sensazioni immediate. Di fatto, l’altruismo richiede una visione d’insieme, che tiene conto della lunga durata e della complessità dei fattori che arricchiscono l’ecosistema. Il fatto è che nelle grandi fasi di passaggio, che alcuni chiamano crisi, quando cambiano molte cose contemporaneamente, la visione d’insieme è più difficile.

Di fronte alla crisi, la reazione immediata di ogni individuo può essere orientata a salvarsi senza curarsi degli altri. Ma un salto di astrazione consente di scoprire che salvarsi senza curarsi degli altri non fa che peggiorare la situazione nel lungo termine.

Il conflitto è una delle strade possibili per affrontare una crisi. Si
ha l’impressione però che l’Italia sia uscita da un decennio di
conflitti latenti che hanno impoverito tutti.

La visione d’insieme richiede sensibilità, cultura, capacità di ascolto, pazienza, curiosità, rispetto. Non è una mera sintesi logica: è una sintesi raccontata, capace di trasferirsi altrettanto sinteticamente. Talvolta ha a che fare con l’arte.

Una persona sensibile sa di non poter essere felice se l’altro non è felice. Questa sensibilità conduce alla ricerca di una sintesi, un salto di astrazione, che porti a comprendere come sia possibile essere felici insieme. Si ha l’impressione che, dopo tanti anni di conflitto ipocrita e latente, l’Italia stia cercando questa nuova sintesi.

E non per niente approva quando si propone di pensare alla cultura come alla grande speranza per riavviare uno sviluppo armonico e intelligente.

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  • Sono d’accordo su tutto, salvo sul decennio di conflitti latenti: a livello pubblico, non ricordo periodo più apertamente (e volgarmente) conflittuale degli ultimi dieci anni. Un esempio: i litigi da pescivendoli – e mi scusino i pescivendoli – in parlamento (!!) e negli studi televisivi. Se ti riferivi ad altro, invece, passo.
    Comunque non so dire se sia in atto un’autentica inversione di tendenza: se così fosse ne sarei felice ma quando ci penso mi viene sempre in mente Il Gattopardo. Per il momento osservo e registro, in attesa di conferme sul lungo periodo.
    Sul fatto che i conflitti latenti impoveriscano, però, sono nuovamente l’accordo.

  • 2 aspetti. Il primo: nel saggio “Laboratorio Israele”, che sto leggendo proprio in questi giorni, si evidenzia come statisticamente in Israele 1 start-up su 5 vada a buon fine, contro l’1 su 9 in USA. Non ho dati sull’Italia, ma credo che siamo molto lontani anche dai dati statunitensi. Il problema e’l’approccio: quanto una sconfitta o insuccesso rappresenta un nuovo punto di partenza e quanto invece ha un effetto demotivante e demoralizzante? e soprattutto, quale substrato sociale e’necessario per evitare che ci sia questo elemento depressivo?
    Da qui il secondo punto: l’altra sera a Ballaro’sentivo parlare di coesione sociale. Credo che non si possa parlare di conflitti latenti, ma di vere e proprie battaglie basate sulla legge del piu’forte (socialmente parlando). Il piu’grande distrugge il piu’piccolo o lo lascia sopravvivere se ha interessi nei suoi confronti. Non importa se il tessuto sociale sia caratterizzato dai piccoli (la maggior parte) e dai potenti, oggi come oggi ognuno punta alla autosufficienza, senza minimamente preoccuparsi delle condizioni del proprio vicino. e credo che la politica degli ultimi 20 anni abbia decisamente contribuito a questo dissestamento.

  • A proposito della sensibilità come motore che tende alla sintesi sociale, mi viene da pensare che quest’ultima sia difficile da realizzare quando bisogna combattere con uno strato di pelle (passatemi la metafora organica) sottile, coriacea e viva come la CORRUZIONE.
    Qui credo si formino gli ingorghi più tragici, delle embolie che mandano in tilt l’intero sistema sano, che scopre ad un certo punto di essere corrotto, ma che non ne ha piena consapevolezza.

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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