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Hobby Apple Tv: non ha un palinsesto sociale

Steve Jobs ieri ha parlato della Apple Tv come di uno hobby. Perché il sistema televisivo non reagisce come quello della musica all’impatto di internet. E quindi Apple non ha lo stesso impatto che ha avuto nella musica.

Il sistema iPod-iTunes ha cavalcato l’onda della musica in mp3, razionalizzando un po’ il rapporto tra la vendita di brani e internet. Il risultato è stato quello di ricreare un modello di business che il peer-to-peer stava mettendo in discussione. Ma contribuendo a mettere in crisi la logica dei cd: tante canzoni in bundle non avevano senso in un mondo in cui si compra il singolo brano.

Nella televisione, il bundle è fatto dai network che riescono a tenere il pallino della programmazione e del modello di business (pubblicità o abbonamento). Le reti mantengono il controllo del palinsesto, della linea editoriale, della selezione dei programmi da mandare in onda. Nel frattempo le grandi innovazioni avvengono all’interno della logica televisiva, con l’aumento vertiginoso delle reti e dei canali e con la progressiva distinzione tra la produzione di programmi e la rete che li mette in onda.

Internet in questo processo ha eroso l’audience ma non ha messo in crisi il sistema. Per ora.

Il problema del palinsesto è che costruisce un luogo di aggregazione, anche se passivamente accettato dai telespettatori. E Jobs dice che quella passività è un desiderio delle persone che scelgono di guardare la tv. Quindi per adesso regge dal punto di vista sociale. Anche se tecnologicamente e organizzativamente è messo in discussione: i programmi possono sempre più chiaramente essere intesi come singoli brani che sarebbe possibile unbundle, separare, dal pacchetto che li contiene (la rete). E la quantità di reti in concorrenza potrebbe spingere gli spettatori a superare la logica dello zapping casuale per costruirsi un palinsesto personale. In questo senso Apple Tv che propone di affittare può alimentare la tendenza. Ma non può determinarla o accelerarla più di tanto, proprio perché non risponde all’esigenza di aggregazione cui le reti riescono ancora a rispondere.

Solo un’eventuale grande crisi delle reti potrebbe mettere in discussione il sistema. In una eventuale crisi del genere, gli spettatori perderebbero il luogo di aggregazione, che a quel punto si potrebbe riformare sui social network (come Apple tenta di fare con Ping nella musica). Sta di fatto che una crisi del genere per ora non si vede: si vede un’erosione della centralità dei palinsesti principali che è ben lontana da essere diventata un crollo verticale.

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  • Ma perchè dovrebbero essere presi singolarmente ? Personalmente penso che la polverizzazione non sia una conquista, anzi. Siamo al livello di quelli che ascoltano un solo movimento di una sinfonia. Ci sono le compilation, ma nesuno ha mai pensato che le compilation siano “il meglio”. Un fenomeno commerciale, da qui a farlo passare come paradigma culturale migliore, ne corre. Ma stiamo scherzando. Allora ritagliatevi i quadri, o affettate le statue (che poi è quello che fanno i feticisti con le persone: c’è molto del feticismo in tutto questo).
    Visto che siamo (?) alla ricerca del senso, condiviso naturalmente, un proprio senso ciascun lo da, è dalla totalità che esce il senso, si, anche dal sentire un album (una volta si chiamavano così) nella sua interezza, che non è una raccolta di canzoni ma espressione dell’ispirazione (evvai !) di un artista in un momento della sua evoluzione. Con il “a me mi piace” non si costruisce senso condiviso.
    Stessa cosa, meno forte, sui palinsesti. Non per nulla gli storici della televisione ricavano indicazioni sull’epoca studiando i palinsesti, oltre che le singole trasmissioni. La cosa è attenuata rispetto alla musica perchè nessuno vede tutto il palinsesto nella sua interessa, e questo non è concepito per esserlo. Ma per dare, come giatsamente dici, un luogo dove leeprsone si riconoscano (altra definizione di “senso”. Atrimenti, coerentemente, bisognerebbe innalzare un inno allo zapping (o a YouTube) come migliore paradigma.

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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