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Un tanto al post

Marco commenta la vicenda del ragazzo che si è fatto pagare per un post. Ampia discussione anche su Facebook. Il tema merita anche una chiosa laterale.
 

Il problema, secondo me, non è di questo o quel ragazzino. Che di per se fa più
che altro tristezza. Casomai è di questa o di quell’azienda che pensa
alle recensioni come fossero pubblicità e accetta di pagare.

Ma fa
pensare anche la diffusa pratica di creare strumentalmente interpretazoini banalizzanti sul mondo internettaro. Tipo la concezione dei “nativi digitali” come categoria culturale indipendente
dall’insieme delle relazioni sociali che le persone di ogni età vivono,
qualunque sia il medium che usano. La facilità di generazione di slogan
e la degenerazione “edeologica” che essi determinano sono causa di
distrazione e distruzione.

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  • Ciao, ho letto il post di Marco, non avevo da aggiungere un granché ai tanti commenti sul suo blog. Quoto il tuo Luca, in special modo la seconda parte sulla generalizzazione strumentale di certe definizioni. (Allora noi nati col web 15 o più anni fa cosa saremmo? Ovvia su…)
    Quanto alle recensioni a pagamento, sono un tema in questo momento molto scottante nel settore wine&food di cui mi occupo. Non approfondisco qui, sarei off topic. Ma permettimi di lasciare una traccia: vi piacciono gli ottimi vini, magari da piccole produzioni difficili a reperirsi? Cercateli nei s.n., interagite e dialogate coi produttori e lasciate perdere guide e giornalisti.
    Saluti maremmani,
    Alessandra

  • Viva Alessandra. Se i blog diventano giornalismo, perchè non dovrebbero fare quello che giornalisti e giornali fanno da 200 anni (da quando contano qualcosa nell’economia delle cose) ? Ossia prendere i soldi per scrivere ? Non facciamo i vergini, per favore. Come diceva quel grande PR, il giornalista che non prende i soldi (in senso metaforico e metadentrico) è quello che non conta un c…. (in senso figurato). Alla fine, la differenza la fa solo lo stile: vogliamo crocifiggere un ragazzo perchè non ha ancora imparato lo stile dei grandi del mestiere? Suvvia. E’ ingeneroso. Si farà. Quanto al ritornello del “il problema sono chi i soldi glieli da”, ricorda molto la questione delle persone (politically correct e factually correct, I see nowadays) di facili costumi e il “se non ci fossero i clienti”. Questione antica, probabilmente paleontologica. Che in una economia dei servizi alla persona e dello sganciamento tra sesso e riproduzione non si dovrebbe porre nemmeno.
    Vabbè, fine del siparietto del cinico in cattedra. Enjoy.

  • @ Marco: vuoi dire che la colpa è del sistema? Non posso darti torto, ma non ti do’ neanche ragione :-). Si può sempre scegliere e l’etica non è una roba d’altri tempi sai?
    Oltre tutto proprio lavorare in questi anni con vini ed olii (ce ne sono tanti ma tanti veramente eccellenti) mi ha confermato che non c’è bisogno di raccontare frottole per lavorare né avere professionalità occulte. L’ADV esplicito, per il quale pretendere emolumenti, è praticabile.

  • @Ale, colpa, chi ha parlato di colpa ? Non è nemmeno il sistema, è la natura umana. E non è nemmeno una questione di frottole, ma di occupazione degli spazi e dell’attenzione. Ogni giorno escono, dico una cifra a caso, 20 comunicati in ogni settore possibile e immaginabile (20 per settore). Le pagine dei giornali e l’attenzione dei blogger sono limitate. Si paga non (almeno, nella maggior parte dei casi) per far scrivere balle, ma per far scrivere, period. L’ADV esplicito serve sempre meno, perchè c’è scritto sopra “MI HANNO PAGATO PER ESSERCI”, e allora o fai le cose in TV, che ti succhia il cervello, oppure ti travesti da “opinione” o da “notizia”. D’altro canto, riapro il siparietto cinico, quante “notizie” soono in realtà opinioni ? Quanta informaziona è comunicazione ? La tentazione di usare il proprio cntrollo dello spazio e dell’attenzione è troppo forte. Non è nemmeno una tentazione, “è”, e basta. E poi, e chiudo il siparietto, molte questioni di etica si riducono al fatto che c’è un contrasto tra singolo giornalista, gerarchia del giornale ed editore, su chi decide a chi “vendersi”.

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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