Se si vuole trovare facile consenso in Italia, basta fare una bella lamentazione: ben scritta, ben sintetizzata in uno slogan, proposta con buona scelta di tempo. Ma alla fine non ci porta molto avanti. L’informazione equilibrata sa mettere insieme i fatti, la diversità delle opinioni, una critica di quello che non funziona e un’agenda costruttiva di quello che si può fare. E direi che l’obiettivo di una rivoluzione dell’informazione in Italia non sarebbe tanto quello di avere più critica, quanto avere più equilibrio, attenzione, consapevolezza che il nostro futuro dipende da quanto siamo capaci di fare in base a quanto siamo capaci di capire. Ma vabbè: metto queste considerazioni generali in piccolo perché si possono anche saltare.
Meno male, dunque, che proprio mentre si spegne lentamente il dibattito sulla “blogosfera molle” arrivi la giusta proposta sulla liberazione del wi-fi, sostenuta dagli stessi media sociali in modo molto efficace. Si annuncia una dimostrazione di critica costruttiva della blogosfera (che evidentemente, almeno a fiammate, non è poi tanto molle).
La riflessione sulla forza dell’impatto dei nuovi media sociali sulla capacità della società italiana di costruire una visione critica, costruttiva, coraggiosa dell’epoca che viviamo è necessaria. Ma è importante anche tirarne fuori qualcosa di propositivo.
I temi si dimostrano molto diversi. Difficile tenerne traccia ordinatamente.
C’è un approccio cinico che genera una domanda del tiop: “se l’intera società italiana non è capace di critica costruttiva, come può farlo la blogofera?” La risposta può essere: “eh, già”, oppure “è proprio dalla novità della blogofera e della microblosfera che può partire un rinnovamento, ma bisogna imparare dall’esperienza”.
Imparare dall’esperienza significa abbandonare l’ingenuità di un puro e semplice approccio tecno del tipo: “le nuove piattaforme sono tanto liberatorie che l’innovazione verrà fuori per forza, perché nella quantità enorme di informazioni generate dagli utenti ci saranno anche quelle che migliorano l’informazione nel suo complesso”. Questo approccio non funziona perché se è vero che nella grande quantità di informazione c’è anche quella buona, è anche vero che non è per tutti facile trovarla e che comunque si infiltra anche l’informazione cattiva. Anzi, per la verità, chi punta sulla strategia della disattenzione è perfettamente in grado di estenderla anche sui media sociali.
Probabilmente le piattaforme e le soluzioni tecniche non sono la risposta al problema di migliorare l’efficacia culturale dei media sociali. Perché naturalmente questa dipende molto di più dalle persone. Ma è anche vero che le regole implicite – tecniche – con le quali le piattaforme e i servizi di aggregazione sono organizzati contengono elementi incentivanti che possono valorizzare comportamenti costruttivi o alimentare forme di competizione distruttiva. Un punto di riflessione è dunque: possiamo pensare a regole implicite più intelligenti di quelle attuali? Può darsi.
Uno dei problemi più belli in questo senso è come si può migliorare la valorizzazione dei contributi che contengono più ricerca, più informazione nuova e verificata, più apertura culturale? Sembra impossibile. Ma in certi contesti è stato affrontato. Anche se oggi il problema va posto in modo totalmente diverso, ci sono state epoche e territori in cui la qualità culturale è stata in qualche modo notata e valorizzata da sistemi incentivanti intelligenti. Un contributo di avanzamento culturale, in questo senso, è stato prodotto da alcune regole implicite nell’università originaria medievale (quella che nasceva istituzionalmente come territorio intellettuale libero dai condizionamenti del papato e dell’impero). E un contributo di avanzamento culturale derivò in seguito dal mecenatismo, rinascimentale (politico e mercantile). Altri esempi spesso emergono dalle logiche delle fondazioni statunitensi o nei sistemi museali innovativi o nei network culturali (tipo enciclopedisti, impressionisti, e chi più ne ha più ne metta…). Ci mancherebbe: si possono citare e discutere mille di questi esempi. Ma in tutti ci sarà sempre una qualche regola incentivante che ha aggregato un movimento culturale e lo ha portato a migliorarsi qualitativamente. Perché non potremmo pensare a qualcosa del genere anche per il mondo dei media sociali? E’ il lancio di una palla lunga, mi rendo conto. Ma perché no? Questo sarebbe il primo caso di movimento culturale nel quale ciascuno può pensare quello che vuole: perché non sarebbe orientato a definire i contenuti, ma a valorizzare il modo trasparente e aperto con il quale vengono generati e condivisi. Senza imporre niente a nessuno. Ma gratificando in modo non competitivo l’impegno culturale che ciascuno decide di regalare agli altri.
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Reminder sul dibattito relativo alla blogosfera molle:
Molte reazioni al pezzo di Giuseppe… A parte quanto scritto qui, le pagine dei commentatori sono state ricchissime: ne riporto qui i link soltanto per facilità d’uso. Massimo non crede che la struttura degli strumenti possa davvero migliorare i cittadini. E a Luca sorge di nuovo il dubbio che la retroguardia si mangi l’avanguardia. Pasteris lo cita. Andrea Contino ritiene che la blogosfera non sia molle ma al contrario dura. Il circolo Barack cita ad esempio un piccolo villaggio gallico. Ket apprezza l’arte della socievolezza che comunque è emersa nella blogosfera. Webeconoscenza ipotizza che i social media evolvano da servizi a infrastruttura. Gino Tocchetti ricorda il dibattito su nicchia e tribù (con apprezzamento critico per Godin). Dario propone di tenere d’occhio la distinzione tra blog e microblog. Puscic si sente antisociale (Ezekiel). Zamba apprezza Filtr.
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Si può facilmente convenire nel successo delle forme incentivanti a base cooperativa invece che competitive. Il vero problema è il coordinamento e quello che implica a livello organizzativo, qualsiasi sia lo scopo. Si potrebbe dire che questi vincoli potrebbero esser smussati dalle capacità di leadership da chi riuscisse a mettere e dare una prospettiva allo scopo. In fondo un obiettivo che arrechi utilità (non solo economica ma intesa come puro piacere) ai membri, basterebbe per porre le condizioni di sviluppo progettuale. Dal mio punto di vista, l'”avanzamento culturale” di per sé è fortemente disincentivato da una parte dalla scarsità di tempo, dall’altra dalla proliferazione di proposte. Se il sistema incentivante dei media che mette le condizioni del contesto, compete sempre più fortemente per l’attenzione, ho seri dubbi che possano emergere i meccanismi della storia che menzionavi con la logica del dono, se non per iniziative puntiformi, i cui esempi non mancano certo. Tante piccole eccezioni insomma. Il che è già tanto. L’interpretazione dei segni di oggi è una bella linea, densa proprio. Dire qualcosa di sensato da quella distanza è dura proprio.