Una volta, nel 1989, l’allora semplice imprenditore, il fondatore della Fininvest, mi disse: «Abbiamo cambiato l’Italia mettendo Dallas in tv». All’inizio degli anni Ottanta, l’Italia era stata l’ipocrisia costruttiva della Dc e la serietà quasi impotente del Pci, era stata l’oscuro territorio della mafia e del terrorismo, era stata il miracolo economico e l’imperinflazione. I socialisti erano solo all’inizio della loro ascesa. Gli ex fascisti non erano nominati quando si parlava dei partiti dell'”arco costituzionale”. I valori, affermati più che seguiti, riempivano la cultura di tabù. E la revisione dell’immaginario partita da Dallas fu la progressiva distruzione dei tabù. Per aprire la strada a un nuovo insieme di valori, considerati trasversali, non ideologici, universali, per quanto bassi e violenti: sesso, soldi, potere. Valori che dettavano la prospettiva sulla quale ciascuno poteva scommettere.
(Se n’è parlato con Loredana Lipperini e Giovanna Cosenza)
Mah, mi sembra il solito auspicio gauchismo-centrico, minoritario in una parte comunque minoritaria del mnondo, l’Occidente e Associati. Se uno in certe cose ci crede, le faccia, le metta in pratica, viva in modo coerente. Mi sembra invece che si aspetti sempre che i valori siano gli altri ad adottarli.
Naturalmente il commento non ha nulla a che fare con il contenuto dei valori: anche un richiamo al ritorno ad una società gerarchica mi porterebbe allo stesso.
Forse.
Ma la mia generazione guardava Dallas e altra tv (Arbore…) non più omologata ai tristi anni ’70, depurandosi da ideologie e movimenti sempre più folli.
Nasceva una stagione di ricerca di dialogo, mentre la politica politicante scadeva nella corruzione. C’era voglia di pace, di disarmo, di rispetto dell’ambiente.
Nascevano nuove utopie che abbattevano le utopie ancora contrabbandate dai vecchi “capi” che adesso erano saliti al potere (e ancora non lo mollano).
Si chiamava “prepolitica”, e qualcuno se l’è dimenticata.