Luca De Biase
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Venerdì, 7 marzo 2008
 

Telecom e l'irrazionalità del mercato

La cronaca della giornata è stata segnata dall'annuncio del piano industriale della Telecom Italia (senza fuochi d'artificio) e dalla reazione del mercato borsistico (con fuochi d'artificio).

Franco Bernabè ha detto che ci saranno 15 miliardi di investimenti nel prossimo triennio, utili e fatturato tranquilli, meno dividendi. Una società che ha un margine operativo grande il doppio di tutto il fatturato della Mediaset evidentemente non si governa a fuochi d'artificio, secondo lui. E Stefano commenta positivamente. Penso che il piano sia fatto per dire: a differenza di ciò che avveniva in passato, noi lavoriamo per rimettere a posto l'azienda, darle un futuro solido, senza traumi. Non ci sono colpi di genio, ma è una sterzata forte rispetto a un passato gravato da oneri esagerati per salvare gli azionisti indebitati, con titoli sostenuti a forza di promesse. Un passato che ha impoverito l'azienda a cominciare dal patrimonio immobiliare. Si ricomicia dalla "Sip", affidata al saggio Stefano Pileri. Poi si penserà al resto. Vedi Sole, Corriere e Repubblica.

Ma i mercati hanno detto di no. E hanno tagliato il valore delle azioni Telecom Italia di oltre il 10 per cento. Per Bernabè è una reazione irrazionale.

Finalmente. I mercati finanziari non sono il giudice della qualità delle aziende e delle loro strategie. Sono irrazionali. Lo penso anch'io, da parecchio. La bolla del 1998-2000 è stata sostenuta dalla irrazionale esuberanza dei mercati, diceva l'allora presidente della Federal Reserve. E' ora di prendere atto che non c'è una particolare razionalità nei mercati finanziari. Ma se questo è vero quali sono le conseguenze?

Facciamo un passo indietro.

Può essere che Bernabè sbagli? Può essere che i mercati siano invece razionali e che lui abbia sbagliato? Su che base si può sostenere questa idea?

Se i mercati sono razionali e hanno reagito così vuol dire che pensano che gli investimenti non porteranno benefici, o che non si aspettavano una riduzione del dividendo, o che pensavano che ci sarebbero stati annunci clamorosi.

La prima ipotesi è assurda: gli investimenti sono necessari per la banda larga e la tenuta nel lungo periodo della società. Senza investimenti di quella portata non ci sarebbe una Telecom Italia forte tra cinque anni. Questa idea è irrazionale. Pensare che fosse meglio vendere gli immobili e fare una nuova strategia ogni sei mesi non è particolarmente razionale.

La seconda ipotesi è possibile ma solo considerando che gli analisti che seguono Telecom non leggano i giornali: l'abbassamento drastico del dividendo era più che annunciato. Ipotesi irrazionale.

La terza ipotesi era un sogno, bello ma privo di basi pratiche. Vagamente irrazionale.

Ci può essere una quarta ipotesi: che i mercati vogliano forzare la mano a Bernabè, lanciargli un messaggio del tipo "qui comandiamo noi" e tu segui i nostri consigli altrimenti ti togliamo l'appoggio. Ma questo non è il gioco della domanda e dell'offerta. E' un comportamento irrazionale. O almeno extraeconomico.

Di razionale c'è solo che un capoazienda faccia il suo mestiere. Lavori per l'azienda e non per i mercati finanziari. Più fantasia non ci starebbe male, ma prendere in mano un'azienda che è passata per la cura degli ultimi cinque anni significa risanarla, darle continuità di lavoro e poi elaborare qualcosa di meglio. Spero che venga fuori qualcosa di meglio. Ma per ora evidentemente bisogna dire ai 70mila dipendenti: lavorate tranquilli che siamo solidi. Troppe promesse non mantenute e troppe strategie cambiate non fanno bene a chi lavora. Forse non è sbagliato dire: "noi siamo qui per restare e lavorare con calma".

E dunque. Se i mercati non sono razionali, vale la pena di vedere che cosa farà il capoazienda e la sua gente, senza considerare troppo quello che dicono i valori di borsa. Intanto, se i mercati vogliono rinsavire comincino a valutare quanto hanno sbagliato in passato e a imparare dagli errori.

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11:57:49 PM    comment [];

Il caso Mastella

Il caso Mastella - scaricato da tutti dopo aver fatto cadere il governo, scaricato anche da coloro che hanno tratto massimo giovamento dal suo gesto - ci dice che è cambiata un'epoca per le campagne elettorali.

Un tempo si privilegiava la notorietà alla legittimità. Oggi, a quanto pare, vale il contrario.

(nb: legittimità non è legalità, ovviamente; non ho nessuna opinione sulla legalità di Mastella, attendo il lavoro dei giudici, ma osservo che la sua posizione non è percepita come legittimata per la campagna elettorale).


12:51:23 PM    comment [];

Pippo Baudo

Giancarlo Bosetti, nel corso della sua partecipazione alla presentazione di Economia della felicità a Roma, mi ha fatto un complimento molto vero: dice che sono modesto. Ho apprezzato molto. Anche se so che qualche volta si dovrebbe spararla più grossa per farsi notare. Io però ho sempre preferito volare alto con la mente e i sogni, ma volare basso con il comportamento. Per un minimo di fedeltà al dubbio che accompagna ogni gesto di un ricercatore.

Un fatterello a margine, di ieri, mi ha colpito personalmente. Alla fine di una giornata durante la quale Pasquale Pistorio ha fatto tanti complimenti a Nòva e al lavoro che faccio per quel giornale che non ho il coraggio di richiamarli qui. Per me la giornata era buona così. Ho fatto quello che dovevo. Ho detto poche cose per non annoiare, ho annunciato i premi e tenuto un po' allegra la platea quando l'auditorium della Confindustria è andato in black out nel pieno della cerimonia. Alla fine, strette di mano e grandi sorrisi. Poi proprio all'ultimo momento, un saluto affettuoso, simpatico e vagamente ironico da parte di una persona di grandissima autorevolezza (che non nomino qui perché non so se avrebbe piacere di essere nominata): mi ha chiamato sorridendo Pippo Baudo. Un apprezzamento. E non solo. Ho capito che è il momento di riflettere su molte cose...


12:46:18 PM    comment [];

Roberto Cingolani

Ieri avevo finito la pila e non ho potuto citare quello che ha detto Roberto Cingolani, uno scienziato fattivo, aperto, chiaro nel parlare. E ha fatto bene Alfonso Fuggetta a sottolinearne l'intervento.

Cingolani ha dato qualche flash su quello che accadrà all'industria con le nanotecnologie (prodotti e processi completamentenuovi). Ha spiegato che per stare al passo occorre fare ricerca in modo competivo. E che quindi bisogna vincere anche nell'attarre i talenti migliori. Ma su questo, la burocrazia e i salari dei ricercatori sono un vincolo insormontabile.

Vorrebbe, Cingolani, che si riconoscesse l'emergenza e si creassero corsie preferenziali per assumere i migliori ricercatori e prendere le decisioni importanti per i laboratori anche se sono pubblici.

Invece ha evitato di parlare di "eccellenza". Una parola abusata, secondo lui. E in effetti è una parola ambigua. Secondo me si interpreta così. Se un paese è chiuso, l'eccellenza è una premessa del privilegio. Se un paese è aperto, l'eccellenza è leadership e modello da imitare (perché è il campione che compete con successo nel mondo). A questa seconda idea, credo si debba dare sempre più spazio. Perché in un paese aperto, valorizzare il merito è giustizia, non privilegio.

E il nostro deve essere un paese aperto per forza. "E se una cosa si deve fare, si può fare" (ricorda Roberto Vacca).

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12:34:12 PM    comment [];


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