Era il 30 agosto del 2005. L’ex Amministratore Delegato del Centro Ricerche FIAT, Giancarlo Michellone, stava guidando il suo top management in giro per la Silicon Valley. Presso l’Università della California a Berkeley, la sua delegazione incontrò il Dottor Henry Chesbrough, a quel tempo Executive Director presso l’Università di Berkeley, che nel 2003 aveva dato alle stampe “Open Innovation: The New Imperative for Creating and Profiting from Technology”. (Harvard Business School Press). In questo suo primo libro Henry Chesbrough mise a punto il concetto di Open Innovation, spiegandone la salienza e la necessità.
Per innovare in un mondo caratterizzato dalla fusione tra informatica e TLC e dall’accelerazione dei processi di globalizzazione, l’azienda non può più contare solamente sulle competenze presenti all’interno dei propri laboratori di ricerca e sviluppo. La riduzione dei costi di matching tecnologico, l’emergere di prodotti ad alto contenuto di “idee” e la mobilità dei lavoratori della conoscenza hanno portato le aziende a ripensare la funzione di ricerca e sviluppo partendo dall’assioma che “non tutte le persone giuste lavorano nei nostri centri di R&S” ma, anzi, le migliori idee e la conoscenza scientifica e tecnologica rilevante potrebbero essere disponibili all’esterno.
Questo il punto di partenza dell’Open Innovation. E ribadiamo, si stratta solo del punto di partenza.
La presa di coscienza della possibilità di acquisire idee e tecnologie dall’esterno per ridurre i rischi e sfruttare le proprie idee in nuovi mercati richiede infatti un cambiamento strategico in diverse aree di attività dell’azienda.
Le persone presenti a quell’incontro a Berkeley del 2005 ricordano che l’Ingegnere Michellone così commentò la presentazione di Chesbrough: “Lei ha trovato le giuste parole per descrivere quello che in FIAT ho fatto negli ultimi dieci anni!”. 1 Una reazione questa tipica di tanti manager americani ed europei, che nella trattazione dell’Open Innovation ritrovavano le sfide e passaggi vissuti da loro stessi sul campo. Ed infatti la novità dell’Open Innovation non è stata tanto quella di proporre l’applicazione di un nuovo paradigma di innovazione, quanto invece quella di descrivere con efficacia un fenomeno già in corso, spiegandone le ripercussioni sulla strategia aziendale 2 .
Henry Chesbrough, i cui lavori sono stati citati ad oggi da più di 40.000 altri articoli scientifici e libri, è stato riconosciuto come uno dei più influenti autori di management a livello mondiale, ed è ormai considerato punto di riferimento per il lavoro di centinaia di ricercatori, manager e policy makers 3 .
Quali sono stati fino ad ora gli ambiti di applicazione e studi sull’Open Innovation?
Il primo è quello della riorganizzazione della funzione di innovazione interna all’azienda. Open Innovation non è sinonimo di outsourcing della funzione di ricerca e sviluppo: adottare un approccio di innovazione aperta vuol dire bilanciare il proprio investimento in ricerca e sviluppo interna con nuove interfacce (partnership strategiche), e sviluppare internamente competenze chiave per assorbire e dialogare con nuovi mercati delle tecnologie. Si tratta di un cambiamento delle priorità strategiche dell’azienda, che impatta in primis la funzione di ricerca e sviluppo dell’azienda, ma non solo. Rilevanti sono anche i cambiamenti nella gestione delle risorse umane, perché sono diverse le competenze richieste a manager e tecnici, e perché il trasferimento di tecnologie, lo scambio di conoscenza e l’apprendimento avvengono anche con il trasferimento delle persone. Rilevanti anche i cambiamenti richiesti alle funzioni di marketing, di approvvigionamento, di business development, perché sono molte le strade che un’azienda può seguire nello sviluppo di modelli di business aperti.
Il secondo ambito di lavoro e ricerca è proprio quello del modello di business. Una nuova divisione dei compiti e un’apertura a collaborazioni esterne portano allo sviluppo di nuove opportunità imprenditoriali nell’intermediazione tra chi ha la conoscenza tecnologica rilevante e chi la richiede. Alcune aziende possono specializzarsi esclusivamente nello sviluppo e trasferimento tecnologico. Quando un’azienda acquisisce una particolare tecnologia può anche trovarsi nella condizione di modificare il proprio modello di business per sfruttare al meglio una data opportunità.
Allo stesso tempo, aziende che nascono e si sviluppano attorno allo sfruttamento di una singola tecnologia come start-up indipendente, o come spin off da un centro di ricerca pubblico, o come costola di una impresa privata, devono pensare a come la loro attività possa complementare un modello di business e di sviluppo di un’azienda più grande, che ha competenze e asset complementari alla tecnologia sviluppata. La presenza di un mercato delle tecnologie crea nuove opportunità e problemi con cui i modelli di business delle aziende devono confrontarsi.
Terzo aspetto su cui si è concentrata molta attività di ricerca è il tema dell’appropriabilità e il ruolo del management della proprietà intellettuale nel passaggio da modelli di innovazione chiusi a modelli di open innovation. Già nel 1986, David Teece faceva notare come la capacità delle imprese di creare profitto dallo sviluppo esterno delle tecnologie dipendesse da un fattore fondamentale: la capacità di appropriarsi dei risultati della ricerca e sviluppo. Il proliferare dei contributi accademici e manageriali in ambito open innovation ha riportato in luce il contrasto tra la necessità di flessibilità e l’esigenza di controllo della conoscenza tecnologica critica per lo sviluppo del business. L’appropriazione formale dei risultati della ricerca (tramite brevetto, diritto d’autore o altre forme regolate dal diritto industriale) dà valore alla tecnologia sviluppata internamente all’impresa, ed allo stesso tempo favorisce e fluidifica le dinamiche di collaborazione tecnologica (co-progettazione, co-sviluppo). Una forte base tecnologica interna unita ad una gestione efficace della proprietà intellettuale creano fiducia e allineano gli incentivi dei partner, in mercati dominati da forze cooperative e competitive che si contrappongono 4 .
Se questi sono dunque i temi su cui si sta concentrando l’attenzione dei ricercatori, cosa possiamo dire riguardo alle prassi manageriali che emergono in un mondo sempre più caratterizzato dall’Open Innovation? Un nostro recente studio, voluto dal Joint Research Center della Commissione Europea (precisamente l’Istituto for Prospective Technological Studies di Siviglia), ha analizzato 13 casi di aziende europee che hanno sviluppato e implementato strategie di open innovation in settori ICT e ICT enabled 5 . L’obiettivo dello studio era quello di identificare l’impatto delle strategie di open innovation sui processi di ricerca sviluppo e commercializzazione della tecnologia nelle aziende europee.
Cinque sono gli elementi che abbiamo osservato e che proponiamo come elementi di riflessione per i manager che vogliono intraprendere la strada dell’Open Innovation.
Il primo elemento da tenere in considerazione è l’importanza di un approccio bilanciato agli investimenti in Ricerca e Sviluppo (R&S) che assicuri un equilibrio tra l’utilizzo di risorse esterne e l’evoluzione delle risorse interne. Il successo di molte partnership strategiche per lo sviluppo di nuove tecnologie è legato alla capacità aziendale di selezionare e coltivare competenze rilevanti all’interno dei laboratori di R&S. Di particolare importanza è lo sviluppo delle capacità di individuare il know-how tecnologico rilevante nell’ambiente esterno e di assorbirlo, ricombinarlo ed integrarlo efficacemente nella base di conoscenza interna. Come già ricordato in precedenza: fare Open Innovation non vuol dire rinunciare ad una funzione di R&S interna.
Il secondo elemento riguarda l’importanza di una evoluzione e innovazione costante del modello di business dell’azienda durante il processo di implementazione di una strategia di Open Innovation. La superiorità tecnologica non è in sé elemento sufficiente ad assicurare il successo della commercializzazione della tecnologia su nuovi mercati. La capacità di innovare e adattare il modello di business all’evoluzione della strategia di innovazione (integrando e allineando aziende partner, tecnologie e competenze chiave) rappresenta un vantaggio competitivo rilevante, soprattutto per le imprese che gestiscono un limitato numero di progetti ad alto rischio.
Il terzo elemento, correlato al secondo, è legato all’attenzione verso una gestione strategica delle risorse umane durante il processo di sviluppo della tecnologia e del business model. A livello di top management ancora scarsa è la consapevolezza che nell’implementazione di una strategia di Open Innovation sia anche necessario porre attenzione alla definizione di procedure e regolamenti interni che assicurino un turnover efficiente, preservando il know-how interno e assegnando le persone giuste ai progetti giusti. Una gestione attenta delle risorse umane (allineando incentivi, regolamenti e procedure alle aspettative alle capacità dello staff tecnico, operativo e manageriale) è critica per l’implementazione di processi di trasferimento ed integrazione di conoscenza tecnologica attraverso partnership strategiche.
Il quarto elemento di successo di una strategia di Open Innovation è legato alla presenza di una corretta motivazione del management durante la (spesso lunga e complessa) fase di implementazione. La transizione da un modello di R&S e innovazione “chiuso” ad una nuova configurazione aperta alle collaborazioni tecnologiche implica un continuo processo di trial and error, sia per identificare i partner giusti, che per integrare correttamente le tecnologie complementari. Resilienza, esperienza e costruzione di un forte consenso interno sono caratteristiche fondamentali per le aziende che riescono a completare con successo l’implementazione di una strategia di Open Innovation.
Più in generale, nei casi analizzati, abbiamo evidenziato come lo sviluppo di una solida cultura organizzativa interna, permeata da valori condivisi e dallo sviluppo di un linguaggio comune sia un altro elemento rilevante. I manager devono essere orientati ad una gestione imprenditoriale delle iniziative, devono avere la possibilità e gli incentivi a deviare dal business as usual.
Monitorare e condividere iniziative di successo, imparare dagli errori commessi diventa un elemento essenziale da affiancare all’eccellenza tecnologica e alla capacità di muoversi sul mercato.
Accanto allo sviluppo di una solida cultura interna, la gestione dei progetti e le procedure di controllo messe in campo dal management hanno un ruolo fondamentale. Gli investimenti in ricerca e sviluppo di tecnologie chiave presentano elevati livelli di rischio: procedure standard di controllo interno per la gestione dei progetti sono normalmente definite attraverso uno stretto controllo di gestione e di obiettivi di performance. In un ambiente orientato all’Open Innovation la definizione di tali procedure rimane fondamentale, ma deve essere guidata da una forte motivazione allo sviluppo esterno del business. Molto utili risultano dunque procedure chiare che consentano un’efficiente allocazione delle risorse e che prevengano errori nella definizione dei budget.
Infine, la focalizzazione delle attività di ricerca e sviluppo ed un forte orientamento al mercato nella definizione di un modello di business “aperto” sono elementi chiave per assicurare il successo di una strategia di Open Innovation. Un momento fondamentale nel ciclo di vita dell’innovazione è infatti l’identificazione di una possibile applicazione commerciale della tecnologia ed una forte focalizzazione delle risorse, degli obiettivi della R&S e del modello di business verso questo obiettivo. La dispersione delle energie su troppe iniziative rimane una delle principali cause di fallimento di una strategia di innovazione aperta.
Anche la politica industriale si è accorta della rilevanza dell’Open Innovation. Sempre più spesso iniziative di intervento sull’innovazione ed il trasferimento tecnologico sono guidate dalle intuizioni originarie di questo modello. Rimane però fondamentale sottolineare che la comprensione dell’Open Innovation, ieri come oggi, è legata all’analisi dei singoli casi, delle esperienze di tecnici, manager ed imprenditori che stanno applicando questa idea, dandole vita e mantenendola in continua evoluzione.
Note.
1 Il resoconto completo di quell’incontro e dell’applicazione ante-litteram del modello di Open Innovation presso il centro di ricerca FIAT è stato pubblicato in: Di Minin, Alberto, Federico Frattini, and Andrea Piccaluga. 2010. “Fiat : Open Innovation in a Downtrun.” California Management Review 52 (3): 132–60.
2 Dal 2003 ad oggi, con l’emergere di nuove evidenze teoriche e manageriali, la definizione di Open Innovation ha subìto varie evoluzioni. La versione più recente è quella di Henry Chesbrough e Marcel Bogers: “a distributed innovation process based on purposively managed knowledge flows across organizational boundaries, using pecuniary and non-pecuniary mechanisms in line with each organization’s business model.” (Chesbrough, & Bogers, 2014. “Explicating Open Innovation: Clarifying an Emerging Paradigm for Understanding Innovation.” in: New Frontiers in Open Innovation, Oxford: Oxford University Press :17)
3 Due edizioni italiane dei libri di Henry Chesbrough sono state curate da Alberto Di Minin nel 2008 e nel 2011.
4 In uno Special Issue del California Management Review abbiamo recentemente analizzato come una efficace gestione della proprietà intellettuale possa costituire fonte di vantaggio competitivo. Di Minin, Alberto and Faems, Dries. 2013. “Building Appropriation Advantage: An Introduction to the Special Issues on Intellectual Property Management”. California Management Review 55(4):7-14.
5 Il rapporto finale di questo studio è disponibile a questo indirizzo https://doi.org/10.2791/433370.
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Edizioni italiane
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• Chesbrough, H. W., Di Minin, A. (a cura di) (2011). Open services innovation: competere in una nuova era. Springer.
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