Home » innovazione » Pensando all’evoluzione dell’architettura distribuita della produzione
innovazione visioni

Pensando all’evoluzione dell’architettura distribuita della produzione

L’architettura distribuita della produzione si rigenera a partire dalla pratica del design aperto e la valorizzazione della cultura artigiana consapevole delle opportunità offerte dall’elettronica, dal software e dalle reti digitali.

È un affascinante superamento della produzione di massa, orientata al consumo di massa e raccontata dai mezzi di comunicazione di massa. È un’ipotesi di economia manifatturiera che si adatta all’epoca della conoscenza organizzata nella logica di internet e capace di interpretare in modo nuovo la globalizzazione. Dimostra la progressiva fusione del digitale nella vita quotidiana fisica e la fine dell’ipotesi della separazione del virtuale dal reale. Si basa sulla possibilità di usare a fondo il computer e la rete per sviluppare e distribuire il design e di sfruttare il possibile crollo del prezzo delle cosiddette “stampanti 3D”, i laser per il taglio e così via.

Si tratta di una fantastica opportunità rigenerativa per i sistemi industriali. Ma proprio per proteggerla, occorre aggiungere una riflessione sulle sue possibili forme evolutive. Non va dato per scontato che evolva come desiderato. Non si può escludere, per esempio, che si creino le condizioni per una concentrazione nella produzione di stampanti 3D e altri materiali che finirebbero per governare l’ecosistema. Un po’ come avviene con le megapiattaforme centralizzate che stanno tentando di governare l’ecosistema internettiano, come Google, Amazon, Apple, Microsoft, e così via. Open access, open source, architetture distribuite hanno bisogno di codici di comportamento che salvaguardino la capacità di innovare, sperimentare, ricercare e connettere il frutto di questa attività creativa con l’organizzazione dell’economia che fronteggia i megatemi dell’equilibrio ambientale, della qualità delle relazioni umane, della ricchezza culturale.

Si tratta di un accenno di riflessione. I primi interlocutori sono stati Urs Gasser e Thomas Margoni. Ed è stata accelerata dall’incontro con Francesco Bombardi, Davide Bezzecchi, Marco Pederzini, a valle dell’Idea Challenge al FabLab di Reggio Emilia, cui accenno su Nòva domani. Il movimento che lavora per il design aperto e la produzione distribuita genera una straordinaria energia. È giusto alimentarla. Non solo con l’informazione emotivamente – o ideologicamente – coinvolta. Ma anche con la discussione visionaria. Imho.

Vedi:
Open Design Now
The Fab Charter

Vedi anche:
La stampa 3D migliora se la si tratta senza esagerazione

[hang2column width=”612″]
un logo fatto con la stampante 3D open source di un ragazzo (con finanziatore) di lurago d’erba #sharebot con #arduino by @lucadebiase[/hang2column]

Commenta

Clicca qui per inserire un commento

  • L’abbattimento dei costi di produzione delle stampanti 3D potrà avvenire solo con la produzione di massa, esattamente come è avvenuto per quelle attuali, tanto che oggi le stampanti vengono vendute sotto costo o quasi e le aziende sopravvivono grazie ai materiali di consumo. Perché dovrebbe capitare qualcosa di diverso in questo caso? E sarebbe auspicabile?

  • Nell’eterna diatriba fra condivisione libera delle idee (per generare progresso) e protezione dei mercati (per salvaguardare investimenti), uno scenario di design open svaluta l’opera dei piccoli (i designer) per valorizzare l’opera dei grandi (in questo caso i produttori di stampanti che raggiungono la massa critica sufficiente ad essere competitivi sul mercato). Esattamente come succede nel mondo cloud che citi, nel software open source, e nei servizi in crowdsourcing. Al contrario gli utenti finali di questo scenario godono del maggiore progresso a basso coso, quindi sarebbe davvero un bene per l’umanità.
    Secondo me è difficile che possa essere un codice (come le licenze Open) a proteggere i “piccoli” designer. Ad esempio per i ragazzi di http://www.fattelo.it (startup delle lampade con design open) a proteggere il loro lavoro probabilmente sarà la loro capacità di scalare velocemente ed essere competitivi sul mercato del prodotto finito, quindi il diventare grandi in un modello industriale tradizione, usando l’”open” solo per scopi marketing. Esistono davvero alternative?

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

Video

Post più letti

Post più condivisi