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La rivoluzione dei fatti documentati

Mario Tedeschini Lalli e Giuseppe Granieri hanno scambiato alcune battute dense di consapevolezza sul nuovo giornalismo toccando anche la questione che in breve potrebbe essere riassunta nella formula dell’oggettività del giornalismo.

Anche se probabilmente avevano posto l’accento su aspetti diversi della questione, Tedeschini Lalli e Granieri non erano su posizioni diametralmente opposte. Si può essere certi che il modo di raccontare le storie giornalistiche, a partire da un punto di vista, è decisivo per il loro successo. È altrettanto certo che se quelle storie sono documentate hanno un senso giornalistico altrimenti no.

La questione insomma è che, per i giornalisti del passato e del futuro, ha senso coltivare un punto di vista sui fatti documentati e non sulla fuffa. Quindi entrambi gli aspetti sono importanti.

Il tema è l’accentuazione dell’uno o dell’altro aspetto. Non si può davvero dire che manchino i giornalisti che esprimono il loro punto di vista. E, nonostante tutto, non mancano i giornalisti che cercano e documentano i fatti. Ma in prospettiva di quale mestiere ci sarà più bisogno?

Da una parte, i fatti documentati che giungono all’attenzione del pubblico anche direttamente dalle fonti tendono ad aumentare. Ma è anche vero che aumentano i fatti maldocumentati che giungono all’attenzione del pubblico. I cittadini che contribuiscono con il loro senso critico per aiutare gli altri a indentificare e isolare le bufale ci sono e funzionano bene. Ma occorre che sia mantenuta viva la cultura del rispetto delle fonti e della critica della qualità della documentazione. E questo è un valore che può essere portato avanti con il supporto potenzialmente utile dei professionisti.

Da un’altra parte, in futuro i soldi per finanziare ricerca di informazione nei giornali potrebbero scarseggiare e quindi potrebbero relativamente aumentare le pratiche giornalistiche che si limitano a esprimere punti di vista. Si rischia di avere giornalisti che fanno solo da aggregatori, curatori, di informazioni trovate da altri e documentate da altri, con l’aggiunta di un punto di vista.

Sono tendenze reali per le quali ci potranno essere aggiustamenti – per esempio col finanziamento non profit delle attività di inchiesta giornalistica, sulla scorta dell’esperienza di Propublica per esempio – ma probabilmente non grandi e repentine deviazioni.

Il servizio giornalistico sarà dunque più orientato a fare punto di vista. Ma se sarà soltanto così, finirà per sciogliersi nella rete che a sua volta non manca di generatori di punti di vista.

La tendenza da sostenere e che ha bisogno di attenzione è quella che spinge verso la ricostruzione di un’idea dell’informazione come bene pubblico, strategica per ricostruire un terreno culturale che unisca le persone che vivono insieme in un piccolo o grande territorio: e questo terreno comune si appoggia sulla conoscenza dei fatti documentati con un metodo che conquisti fiducia e consenso. È un dovere di cittadini che rigenera lo spazio del lavoro professionale di chi fa ricerca sull’informazione. Un paese si cambia sapendo com’è fatto. Gli innovatori che conoscono il paese possono applicare su questo i loro punti di vista.

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Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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