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Roadmap, governo e giochi di ruolo: l’informazione assume un ruolo centrale nella ristrutturazione del paese

Il governo Monti è una novità soprattutto nel metodo. Anche se sulla scorta dell’urgenza, la sua azione segue uno schema di lavoro che si può riconoscere come migliore del precedente. Almeno in termini di capacità decisionale. Forse anche di equilibrio tra le forze in campo.

Vediamo lo schema che questo governo, alla luce dei fatti, si propone di seguire.

Il governo disegna la strategia e le regole fondamentali della gestione della cosa pubblica in relazione alle compatibilità economiche del paese. Il che corrisponde ai vincoli imposti dall’appartenenza a un sistema internazionale più ampio del quale fanno parte l’Europa e la finanza globale.

Il parlamento decide se la strategia va bene o non va bene come sintesi di tutte le esigenze che rappresenta. Se non accetta la strategia proposta dal governo si prende la sua responsabilità nei confronti delle strutture internazionali delle quali fa parte il paese. Se l’accetta si prende la sua responsabilità nei confronti delle strutture sociali e degli interessi che rappresenta.

Le parti sociali e i movimenti fanno sentire la propria voce. Normalmente il governo annuncia l’avvio di consultazioni: fa conoscere le proprie intenzioni pubblicamente e in modo trasparente, avvia un periodo prefissato di discussione durante il quale le parti sociali e i movimenti possono entrare nel merito e fare le proprie proposte. Alla fine il governo aggiusta il tiro e disegna la sua strategia. A quel punto riparte il processo per la nuova fase decisionale.

Questo sistema consente di decidere. E garantisce trasparenza al processo, oltre che dare il giusto peso alla rappresentanza parlamentare delle forze sociali.

In passato, la concertazione poco trasparente e preventiva con un governo che rappresentava e non disegnava strategie e un parlamento che non rappresentava e faceva da semplice operatore tecnico delle decisioni concertate, tendeva a bloccare ogni decisione coraggiosa e complicata.

Non è detto che l’applicazione attuale di questo processo sia la migliore.

Nel caso delle decisioni di ieri, le consultazioni trasparenti non sono certo state realizzate per intero. Anzi. In 18 giorni si è fatta una strategia che non ha precedenti in Italia. Per sapere se è giusta ed equa e se attiva la crescita dovremo vedere come viene compresa dalle imprese, come viene accettata o respinta dalle forze politiche, come viene discussa dalle parti sociali e dai movimenti. Il processo è partito da un punto non pienamente corretto, visto che non c’è stato tempo per le consultazioni vere e proprie. Ma bisogna ammettere che il tempo a disposizione per rimettere in linea il paese con i vincoli internazionali non era molto.

Non è possibile entrare nel merito della strategia che è giustamente spiegata nelle sue linee generali dal governo ma che è poi davvero raccontata dalle singole analitiche decisioni. Le pensioni vengono ristrutturate drasticamente e non pesano più sull’incertezza degli impegni futuri dell’amministrazione. Le pubbliche amministrazioni cominciano a essere tagliate. Le tasse aumentano soprattutto nei settori che meno le avevano pagate in passato. Le imprese che assuono e investono sono premiate (o meglio vengono eliminate alcune penalizzazioni assurde alle imprese che assumono e investono). Sulla carta è un disegno piuttosto ragionevole. Nella pratica occorre studiare sul serio le decisioni, analiticamente e sinteticamente. Qui non si sta discutendo del merito, insomma, ma del metodo.

Il problema è che per comprendere tutto questo interamente ci vuole un po’ di applicazione. Mentre tutti quelli che hanno parlato di politica negli ultimi trent’anni lo hanno fatto per dichiarazioni veloci sulla base di riflessioni minimali. Per loro l’importante era esserci: al tavolo delle trattative preventive, al talk show che costituiva il principale sistema di informazione ma anche di manipolazione dell’informazione, al momento dell’occupazione delle poltrone.

Il problema è che l’informazione sulla strategia comunicata dal governo ieri deve essere completa e diffusa. E si può scommettere che se lo fosse, gli italiani potrebbero anche comprendere quella strategia e persino approvarla. Confidando che le prossime decisioni siano ancora più chiaramente orientate alla crescita.

Ma il problema è che è possibile che nei prossimi giorni assisteremo a un fuoco di sbarramento condotto a suon di dichiarazioni veloci e poco basate sulla riflessione di merito, ma piuttosto basate sulla nostalgia per il processo che garantiva a tutti più visibilità, presenza e capacità di interdizione. È possibile insomma che il vecchio sistema reagisca malamente, ma è anche possibile che la consapevolezza dell’ineluttabilità di queste decisioni, conduca alla fine i vecchi poteri a rinunciare alla loro tattica confusionaria.

Il pallino passa al senso di responsabilità dei politici, alla reale capacità di riflessione delle parti sociali, al sistema dell’informazione: tutti questi soggetti sono chiamati a decidere e a prendersi delle responsabilità.

Se questo avverrà e se il governo riuscirà per le prossime decisioni a partire con il processo dall’inizio, cioè dalle consultazioni trasparenti, gli italiani potrebbero presto imparare a riconoscere il metodo. E si può scommettere che si sentirebbero più partecipi del sistema. Prima i bizantinismi decisionali rendevano ogni decisione politica oscura e distaccavano il paese nel suo insieme dalla politica.

Il ponte reale tra politica e società, alla fine, è l’informazione. È la qualità dell’informazione che distingue una democrazia da un sistema autoritario. Il governo attuale, in materia, deve ancora dimostrare di saper operare dei significativi miglioramenti.

Il tempo dirà se le decisioni del governo erano quelle giuste. E se i politici o le parti sociali avranno la capacità di sostenerle. E se il sistema dell’informazione migliorerà. Ma un fatto è certo e positivo: ora possiamo discutere di qualcosa di concreto e non delle fumose guerre di posizione alle quali eravamo abituati.

È il momento dell’informazione. E dunque, oggi, è anche il momento dei media civili, il momento dell’informazione come servizio pubblico, il momento dell’informazione basata su un sano metodo di raccolta e verifica delle notizie. È il momento dell’informazione come bene comune. È il momento della rivolta nonviolenta contro la finta informazione fatta solo per garantire la presenza dei potenti e consentire loro di controllare l’attenzione dei cittadini, deviandola dalla conoscenza di come stanno le cose. Come cambia il metodo con il quale il governo prende le sue decisioni e le forze politiche e sociali fanno sentire la propria voce, e come cambia il merito delle decisioni per avvicinarsi a operare sulla realtà dei fatti, così deve cambiare il metodo con il quale viene generata l’informazione per consentire ai cittadini di sapere quello che sta succedendo fino in fondo. E i cittadini sono a loro volta responsabili: di riconoscere chi genera informazione con un metodo trasparente, di alimentarsi di informazione, di produrla a loro volta. Gli strumenti ormai ci sono e sono alla portata di tutti. Ciscuno, secondo le sue capacità, può dare una scossa anche al sistema dell’informazione. Che alimenta la conoscenza di ciò che abbiamo in comune. Per poter sapere da che parte ricominciare a costruire.

Un contributo si può dare usando i civic media. Per questo c’è Timu.

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  • Data la crisi politica e la singolare situazione in cui ci troviamo (in verità una crisi della politica ed una crisi economica che supera i confini nazionali ed interessa tutto il mondo considerato “civilizzato”) credo che un cambiamento negli atteggiamenti e nelle procedure sia necessario per infondere fiducia negli italiani. Sentendo parlare le persone, seguendo i media, la sfiducia e il fatalismo colpiscono i cittadini specie quelli giovani.
    Siamo in difficoltà ma abbiamo anche delle capacità grandi che purtroppo non riusciamo a vedere. Credo che una politica di maggiore trasparenza sia fondamentale per recuperare quella fiducia nelle istituzioni che spero si traduca in fiducia nelle proprie forze. L’Italia è in difficoltà ma l’Italia è anche una nazione forte piena di gente che sa sognare e realizzare i propri sogni.
    Non è forse questo ciò che ci porta ad innovare?

  • Mi piacerebbe avere il tuo commento su quanto segue.
    Come giustamente dici l’informazione ha un ruolo importante in questa fase. Quello che mi chiedevo nei mesi scorsi è se i titoli dei giornali, gli articoli diffusi e tutti i contenuti con cui vengono imboccati i lettori a livello nazionale non abbiano un po’ di responsabilità anche nel senso negativo in cui si sono sviluppate le cose in termini di economia reale.
    Si usa dire che nel giornalismo le cattive notizie sono buone notizie, perché vendono di più. Secondo me è stato dato molto peso ai titoli catastrofici e ai contenuti che presentavano le cose -magari anche oggettivamente e correttamente- in maniera negativa. Se sono un imprenditore e leggo che le previsioni di crescita nel mio settore per i prossimi 12 mesi sono negative non assumerò più, taglierò, disinvestirò ecc. Non dico che i giornali sarebbero dovuti essere concertati per dare un’immagine diversa dello stato delle cose, ma che in una situazione grave come quella attuale abbiano l’obbligo morale di impegnarsi a dare speranza e infondere un ottimismo coraggioso (non illusorio) che le cose possono cambiare, che i provvedimenti non sono SOLO tagli ma anche incentivi ecc. Insomma, avrebbero dovuto, e dovrebbero ora soprattutto, provare a bilanciare, mostrare l’altro lato della medaglia.

  • Daniel, credo di provare e aver provato sensazioni simili alle tue.
    In tempi difficili l’informazione non deve sorvolare sui problemi, ma quando arriva il limite in cui si sfocia in un terrorismo mediatico?
    Credo che molte volte i toni siano esasperati più del dovuto ma non ho un metro valido per convalidare il mio pensiero. E questa percezione è più forte nella televisione piuttosto che nei giornali. Dipende anche dalle letture che prediligo.
    Alla fine non possiamo sostenere quale sia la condotta più corretta. Ma, pacificamente, penso si possa sostenere che speculare sulle notizie può portare effetti negativi quando a farlo sono diverse media a diffusione nazionale.
    Tutto IMHO ovviamente.

  • Tanto rumor per nulla. Parafrasando Ceronetti, i bit sono stanchi. Non vedo novità nel metodo del Preside, semmai lo stanco ripetersi dei rituali (e.g. chi erano i Giovani che hanno tanto fatto arrabbiare, se è vero, la ministra lacrimosa ? Io lo so, era una domanda retorica) di facciata, e il vero lavorio dietro le quinte, come sempre. Con chi avrebbe concordato Passera la garanzia a fermo data alle obbligazioni bancarie (e poi i Tremonti-bond erano una porcata….forse perchè avevano delle condizioni attaccate), il cosiddetto capitolo “salva Intesa” ? Molto probabilmente con Bazoli, visto che è spuntato nel decreto mischiato a decine di altre cose e cosette a favore delle banche (come la mettiamo, Luca, con la tua crociata antifinanza ?) senza preavviso alcuno (e visto che rischia di incrementare il debito, magari sarebbe stato opportuno parlarne no ?.) Ed è vero, sembra di si, che l’aumento dellì’IRPEF è sparito solo perchè un partito (ma forse anche due) ha detto: ma manco per idea ? Intanto oggi lo sread torna a salire alla grande, si vede che le banche ialiane non hanno molto fiato rimasto per comprare BTP sul secondario (anche se hanno venduto a piene mani nelle scorse settimane, vero Unicredit ?). Restiamo nel regno della quantità, perchè se di qualità si vive, di quantità si muore.E vorremmo evitare.

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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