Il confronto tra Cina e Usa su internet venuto alla luce dopo il caso Google è ormai al centro del dibattito strategico. Il New York Times pubblica una storia importante, che mostra come la vicenda Google sia avvenuta proprio in un periodo in cui le preoccupazioni dell’amministrazione americana sulla possibilità di una guerra online erano molto accentuate.
Google ha detto di aver subito attacchi da parte della Cina. La Cina ha negato flemmaticamente, cercando di mantenere la questione sul piano delle relazioni tra leggi cinesi e aziende private straniere. L’amministrazione americana è però intervenuta pesantemente appoggiando Google e dichiarando che considera la libertà di internet un valore non negoziabile. A quel punto la Cina ha contrattaccato dicendo che sono gli americani ad aver tentato ripetutamente di entrare nei sistemi informatici cinesi e che il loro è puro e semplice imperialismo: la Cina insomma si propone come vittima di un’interferenza straniera nelle sue politiche interne.
Per ora si tratta di una Guerra Astratta, fatta molto di ipotesi e con pochi fatti visibili. È profondamente legata al confronto del Soft Power americano e di quello cinese: il primo, sulla scorta dell’esperienza hollywoodiana, fa della sua industria dei media un generatore di sogni di libertà valido per tutto il mondo; il secondo, punta sulla efficacia economica del suo sistema industriale e sull’ideologia dello sviluppo armonico, in opposizione a quello conflittuale tipico dell’occidente.
La Guerra Astratta è cominciata. I ruoli della Tesi e dell’Antitesi non sono chiarissimi: quindi per ora non si vede alcuna Sintesi.
Credo sia un po’ limitante sostenere che l’America rappresenti “sogni di libertà” e la Cina “efficacia economica” e “sviluppo armonico”.
Mi permetto di segnalare un link al mio blog (http://www.chen-ying.net/blog/2009/04/08/soft-power/) in cui, parlando del Soft Power cinese, cito uno studio del 2005 nel quale si dimostrava che, almeno in Asia Orientale, la Cina ha un’immagine NEL COMPLESSO migliore. E si parla di una buona fetta di popolazione mondiale. C’è l’attrattiva economica, è vero, ma la forza simbolica della Cina si inserisce in una cultura profonda che risale ai tempi in cui lei era “Impero di Mezzo” e gli altri “stati tributari”. La Cina crede che la sua rinnovata ascesa al centro del mondo non sia altro che un ritorno all’ordine naturale delle cose. E probabilmente lo credono un po’ anche gli altri asiatici orientali