Le tecniche per uscire da un labirinto prevedono di solito di trovare una regola tattica-analitica che consenta di provare tutte le strade e ricordare quelle già sperimentate con insuccesso. Ma la regola strategica-sintetica è tentare di guardarlo dall’esterno. Umberto Eco è un esperto. E leggere la storia d’Italia dalla fine della guerra a oggi è come un labirinto. Dal quale occorrebbe venire fuori per poter guardare avanti. Non è escluso che sia arrivato il momento per riuscirci.
Due libri letti nello stesso momento indicano una possibile visione sintetica. Con l’aggiunta di un documentario della Bbc su Gladio intitolato Operation Gladio del 1992, citato da Umberto Eco nel suo Numero Zero, il primo dei due libri. E il secondo è Il golpe inglese di Giovanni Fasanella e Mario José Cereghino.
Eco racconta la storia di una redazione di giornale vagamente grottesca e di un’inchiesta approssimativa e incredibile sull’Italia del dopoguerra che però sfocia in una tragedia che paradossalmente l’avvalora. Fasanella e Cereghino raccontano i risultati di un’inchiesta documentata dalla quale si esce con la convinzione che la disinformazione abbia sempre vinto in Italia, che sia impossibile distinguere tra gli accadimenti e le testimonianze che artatamete li interpretano o li nascondono in questo paese.
Entrambe le storie mostrano aspetti dell’Italia uscita dalla Seconda Guerra Mondiale come paese sconfitto e costretto a vivere sotto la tutela delle potenze vincitrici. Fasanella e Cereghino offrono una dimensione di lettura originale centrando il racconto sulla politica estera della Gran Bretagna nei confronti dell’Italia. L’Inghilterra appare in tutta la sua decadente trasformazione da immenso impero globale in un paese europeo importante ma certo non decisivo per il pianeta. Ma un paese che intende in ogni modo rallentare questo processo comportandosi il più a lungo possibile come potenza coloniale. E l’originalità della lettura sta nel fatto che mentre di solito l’Italia si sente succube della politica americana, in realtà sulla Penisola ha gravato anche l’interferenza inglese, legittimata dal ruolo della Gran Bretagna come potenza vincitrice incaricata di influire sulla politica italiana all’indomani dell’armistizio e della definizione dell’Italia come paese cobelligerante destinato dai patti internazionali a giocare un ruolo di secondo piano nell’ordine mondiale uscito dalla guerra.
La vicenda della politica inglese in Italia è – per Fasanella e Cereghino – alimentata da tre assi:
1. proteggere gli interessi petroliferi britannici nel Medio Oriente, a lungo un protettorato inglese
2. combattere l’avanzata sovietica in Europa e l’avanzata dei comunisti in Italia
3. alimentare culturamente ed economicamente una rete di alleati di ogni genere purché adatti a favorire la politica britannica: fascisti, mafiosi, strani massoni, liberali, giornalisti…
Nel libro di Fasanella e Cereghino, i nemici dei britannici sono sempre gli italiani che pensano all’interesse nazionale e lo perseguono con una politica indipendente e rischiosa per gli interessi britannici, che intendono a lungo in base alla visione del mondo di una potenza imperiale, anche quando l’impero non c’è più. Entrano nel gioco, e perdono, personaggi come Matteotti, Mattei, Moro. E le tragedie che li riguardano sono allusivamente collegate da Fasanella e Cereghino agli interessi inglesi. Sono ossessionati dal petrolio: Matteotti e Mattei sono nel mirino per questo, anche se ovviamente per motivi diversi. E sono ossessionati dalla stabilità politica anticomunista: Moro è nel mirino perché conduce la Dc all’apertura al compromesso storico con il Pci. Il libro è convincente soprattutto nelle parti dove ricostruisce i legami tra gli inglesi e i fascisti che, invece di essere esclusi nell’Italia democratica, vengono aiutati in tutti i modi a pesare e molto sulla politica italiana. Le vicende di Gladio, di piazza Fontana, persino delle Brigate Rosse, sono – nel libro – chiaramente segnate da persone che hanno rapporti con i servizi inglesi e con i fascisti che gli inglesi proteggono a lungo.
Umberto Eco sottolinea una questione di metodo. I collegamenti tra i documenti, i fatti acclarati, le persone dalle biografie ambigue, gli interessi internazionali, le tragedie e le loro interpretazioni non sono mai esenti da possibili forzature e manipolazioni. Le ipotesi interpretative vanno sottoposte a ricerche condotte in base a un’epistemologia storica della quale non dovrebbero fare a meno neppure i giornalisti. Una narrazione convincente non è sempre una narrazione documentata. E i moventi per gli assassini – politici – non sono sufficienti a definire le resposabilità. Ma un’inchiesta improbabile come quella del giornalista immaginato da Eco può essere messa a confronto con un’inchiesta come quella della Bbc, che nel 1992 ricostruisce la vicenda Gladio: e mostra come l’Italia sia stata una nazione priva di vera sovranità, sottoposta a pressioni enormi perché non si rendesse autonoma nella scelta del proprio destino, governata da persone che non potevano scegliere, manipolata da una strategia della tensione motivata da interessi stranieri. Non è un caso che i governi non abbiano credibilità in un paese così. E la domanda è questa: finita la Guerra Fredda il paese è stato tenuto sotto tutela per altri vent’anni. Ma adesso è davvero finita?
La Germania è ripartita dal Processo di Norimberga. Ed è oggi una potenza indipendente. L’Italia non ha avuto un analogo processo. Ed è sempre alla ricerca di un’impossibile indipendenza. Lo scioglimento della sua sovranità nel nuovo contesto europeo potrebbe aiutarla a trasformarsi in quello che ha perso l’occasione di essere: se non può essere un paese indipendente, può almeno partecipare a un nuovo paese, l’Europa, che ha molto più senso alla scala delle sfide contemporanee? Questo dipende anche da noi: questo potrebbe essere il finale di una storia e, finalmente, l’inizio di una nuova storia. Perso il Novecento, potrebbe guadagnare il Millennio.
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Luca, molto interessante, la tua riflessione. E soprattutto seria, perché non demonizza punti di vista diversi, ma cerca di metterli a confronto: esercizio poco praticato da noi, perché ognuno crede di avere la verità in tasca e si sente in dovere di “annientare” ogni diversità. Condivido tutto quello che hai scritto. Ma vorrei porti una domanda: chi dovrebbe condurre le ricerche ” sulla base di un’epistemologia storica?” A me verrebbe da dire: gli storici. Dovrebbe essere questa, la regola. Ma qualcuno sa spiegarmi perché, a vent’anni è più dalla caduta del Muro, nessuno di loro ha ancora scritto una storia della guerra fredda italiana?
non mi permettevo di suggerire agli storici che cosa fare, anche se la tua opinione è importante e merita la loro attenzione: stavo pensando ai giornalisti, a me e a te, a chi fa il mestiere di informare sull’attualità e non può farlo più bene senza una riflessione epistemologica e una consapevolezza storica… tu Giovanni e il tuo collega avete fatto un lavoro egregio, e te ne ringrazio sinceramente.. a mia volta provo a seguire questo “programma” di riflessione da tempo… ho l’impressione che la salvezza del mestiere giornalistico sia legata alla qualità del metodo con il quale viene svolto…
In Italia chi era ai comando delle istituzioni prima del 1945 vi è rimasto anche dopo..questo è uno dei problemi che non ha permesso all’Italia un percorso diverso e una presa di coscienza a differenza di quello che è accaduto in Germania
il commento può interessare qualcuno, spero non sia stato fatto solo per promuovere il servizio aspeera: in quel caso sarebbe stato meglio dirlo esplicitamente