Che cosa succede quando nella relazione tra persone e macchine entrano in gioco emozioni che assomigliano a sentimenti? Sherry Turkle, in Alone Together (traduzione italiana Codice), ne dà conto in modo ampio e sofisticato. È chiaro che le persone proiettano sulle macchine alcuni dei loro modi – culturali, psicologici, neurali – di interpretare i comportamenti altrui: ma questo avviene soprattutto quando l’interfaccia delle macchine è progettata in modo da sollecitare queste proiezioni. La metafora che facilita l’uso della macchina è esplicitamente un’allusione all’interazione abituale con qualche altra cosa: la scrivania è stata la metafora del Mac e lo ha reso molto più facile da usare dei comandi speciali del Dos, nel 1984; e l’amicizia è la metafora di Facebook che rende il social network molto più facile da usare dei comandi fin troppo malleabili dell’ambiente MySpace nel 2005.
Il problema tecnologico è l’equilibrio tra la metafora e le funzionalità, come il problema psicologico è l’equilibrio tra l’empatia e l’autenticità.
1. Quando le funzionalità sono squilibrate rispetto alla metafora, solo i tecnici sanno usare le macchine. Ma in altri casi, al contrario, la metafora prende il sopravvento sulla funzionalità. Esempio? Uno dei temi più difficili della storia dell’informatica è l’intefaccia vocale. Comandare il computer a voce è un’attività molto complessa e ci siamo abituati a concedere alla macchina un margine di errore visibile e superiore di solito al 20%. Il che di solito limita l’utilizzo di queste funzionalità. Quando però è arrivata Siri, sulle macchine Apple, la metafora è stata davvero invadente: le sue risposte argute e divertenti – soprattutto quando non sapeva rispondere o non capiva la domanda – erano tali da sollecitare l’illusione di poter sviluppare una relazione piuttosto complessa con la macchina. Alla lunga, però, quell’illusione si è scontrata con la realtà di una tecnologia che comunque non è riuscita finora a raggiungere gli standard di qualità che la metafora prometteva. E il pezzo di Nick Bilton sul NyTimes dimostra che Siri ha sollecitato lo sviluppo di una relazione emotiva con la macchina, solo per condurre a una più cocente delusione.
2. Quando una relazione online, mediata dalla metafora dell’amicizia su Facebook, conduce a comportamenti simpatici o troppo empatici con persone fondamentalmente sconosciute, va in crisi il senso di autenticità. I comportamenti nei confronti della macchina e dei suoi algoritmi, sostanzialmente nascosti dietro la metafora dell’amicizia di Facebook, finiscono con l’assomigliare ai comportamenti che si tengono con le persone fisicamente presenti e profondamente conosciute. Ma anche in quel caso, tanto più alta è l’illusione, tanto più grande può essere la disillusione.
L’equilibrio richiede lucidità e razionalità nella gestione delle relazioni con le macchine. Il che non è la condizione umana abituale. E apre la strada a comportamenti indotti dall’asimmetria delle competenze intorno alle tecnologie persuasive. Un design responsabile delle macchine potrebbe inserire nella relazione dei richiami alla razionalità o almeno alla trasparenza delle informazioni sulla relazione: ma la maggiore autenticità della relazione con la macchina a sua volta va realizzata con una forma intelligentemente gradevole; perché razionalità non significa noia, così come sentimento non significa purtroppo sempre gioia. Si tratta di un percorso di sviluppo delle metafore delle macchine che ha ancora bisogno di investigazioni.
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