Carlo Galli descrive nel suo ultimo libro, “I riluttanti” (Laterza 2012), le responsabilità delle élites, considerando quelle italiane poco orientate a guidare la società, o forse troppo incolte per riuscirci.
All’Aspen, oggi, si è discusso di un tema collegato, quello della leadership nell’epoca della rete.
Il collegamento sta nell’evoluzione della struttura gerarchica, di fronte alla grande trasformazione in atto che sta facendo leva sulla rete, un passaggio nel corso del quale si confrontano vecchi e i nuovi poteri. I vecchi sembrano sottolineare fin troppo i pericoli del nuovo, i nuovi sembrano sottostimare i rischi connessi con la stessa innovazione che che essi cavalcano.
La nuova leadership non può essere quella che si limita a difendere la situazione attuale. Piuttosto si sviluppa in un contesto che conosce a fondo l’innovazione – dunque si appoggia
culturalmente su nuove élites – ma riesce a sintetizzare una prospettiva e una direzione che consenta di far vedere oltre il disorientamento attuale, ma comprendendone profondamente le ragioni. È un processo complesso, perché mentre la leadership ha bisogno dell’élite, una nuova élite si sviluppa nel quadro sostenuto e valorizzato anche grazie a una nuova leadership.
Negli ultimi anni, le due dimensioni, in Italia, si sono evolute in modo separato. E in questa distanza ha mantenuto aperto lo spazio per la resistenza dell’élite incolta e della vecchia leadership incapace di tracciare prospettive. Forse qualcosa sta cambiando quest’anno, ma il tempo a disposizione è stato davvero troppo poco.
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