Questo è il quarto di una serie di post sul futuro. Un’esplorazione che riguarda quattro generi di questioni: perché pensare il futuro? come leggere il futuro nel presente? che cosa ci impedisce di lavorare sul futuro in modo libero da preconcetti? che cosa possiamo fare per favorire un futuro preferibile?
Genere 4 – Qualche grande nuova narrazione dotata di senso
L’Onu organizza in questi giorni il Summit of the future 2024. Tra gli output attesi c’è un “Patto per il futuro”, un insieme di proposte per la governance del digitale e una Dichiarazione di impegni per le generazioni future. Il Summit parte nella consapevolezza che i paesi del mondo che si erano impegnati a realizzare l’Agenda 2030 dell’Onu non hanno fatto quanto promesso. Sono molto indietro nell’Agenda. Ma nonostante questo, l’Onu decide di proporre un altro insieme di documenti per i quali i paesi del mondo possano rinnovare i loro impegni e magari questa volta comportarsi meglio. «Lavorando insieme possiamo realizzare un futuro più sicuro, pacifico, giusto, equo, inclusivo, sostenibile e prospero», dice l’Onu. E le proposte sono anche molto chiare.
«Lavorando insieme», cioè sulla base di obiettivi comuni. Cioè in relazione a una comune visione di ciò che renderebbe il futuro preferibile. Cioè evidentemente abbandonando i punti di vista particolari e gli interessi di parte per abbracciare una strategia che faccia il bene di tutti. Il senso dell’Onu è questo. E nonostante ci si possa anche lasciare andare allo scetticismo di fronte a questo approccio, si può ragionevolmente negare che c’è bisogno di questo tipo di proposte?
Non sono passati molti giorni da quando Mario Draghi ha presentato il suo rapporto. Questioni molto diverse. Qualche punto in comune. Anche Draghi propone ai paesi europei di perseguire il bene comune. E di prendersi la responsabilità di investire insieme per realizzare obiettivi vantaggiosi per tutti. Una grande somiglianza: in entrambi i casi, il rapporto Draghi e il Patto per il futuro dell’Onu, sembrano belle narrazioni ma non progetti che potranno avere una concreta applicazione. Tutti, compresi i più accesi sostenitori del rapporto Draghi, hanno commentato accettando il preconcetto secondo il quale il rapporto non troverà attuazione. E il motivo è straordinariamente difficile da mandare giù: il rapporto non sarà applicato perché l’Olanda e qualche altro paese sono contrari al debito comune europeo.
E allora restiamo con i nostri problemi insolubili? Prima di affermare sconsolatamente di sì, si può tentare una considerazione: se un problema non ha soluzioni, si può cambiare problema?
Il punto invece è proprio questo: il rapporto Draghi, il Patto dell’Onu, sono fatti per cambiare il problema. Sono fatti per sottolineare gli obiettivi e mostrare strade per raggiungerli. Sono fatti per isolare e criticare i paesi che ostinatamente si oppongono a definire il problema dell’umanità, degli europei, delle persone comuni, in modo tale da poterlo affrontare e risolvere in modo sensato.
Il futuro non è mai esistito. Esiste quello che riusciamo a concepire per passare all’azione. I futuri sono molti. Alcuni sono preferibili. Si riconoscono, quelli preferibili, perché vanno a vantaggio di tutti e non di pochi. Vale la pena di dedicare la vita ai futuri migliori.
Insomma: nel nostro modo di pensare il presente c’è il futuro che emergerà come conseguenza delle nostre scelte. Se pensiamo bene vivremo meglio. Questa serie di post spera di servire a questo. Foto in testa al post: “Flags fly in front of the UN building in New York City, Sept. 20, 2019.” by Diplomatic Security Service is marked with Public Domain Mark 1.0.
La serie
Parliamo del nostro futuro/1
Parliamo di futuri/2 – Technopolitique.
Parliamo di futuri/3 – Non si difende il futuro per ottimismo
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