Una soffiata. Documenti in abbondanza. Ricerca giornalistica per confermarli. Per rivelare i segreti della guerra dei droni in Medio Oriente e Africa. The Intercept, il giornale co-fondato dal Glenn Greenwald (quello di Snowden) e finanziato dal miliardario Pierre Omidyar, pubblica una storia articolata sull’utilizzo dei droni da parte degli americani per l’uccisione dei nemici. Un sistema efficace, non privo di errori, spaventoso: perché i target sono decisi, localizzati e uccisi a distanza, facendo largo uso di macchine per la sorveglianza, raccolte gigantesche di dati, intercettazioni di telefoni, e così via. L’aspetto spaventoso è proprio quella barriera logica che si frappone tra chi preme il grilletto e chi viene ucciso: un apparato di macchine sembra rendere tutto oggettivo mentre evidentemente non lo è. La responsabilità di chi uccide si scioglie nell’utilizzo di macchine che sembrano dare informazioni precise e che aiutano a decidere senza una presenza fisica al momento del fatto. Quindi anche gli errori sembrano meno gravi a chi li ha commessi.
L’inchiesta The drone papers è online. E va a fondo in questo mondo poco appariscente e tanto denso di futuro per le prospettive del sistema militare e per il mondo di fare la guerra.
The Intercept è stato criticato per molti aspetti. Dal disequilibrio di genere all’identità del finanziatore (uno dei fondatori di eBay). Ma molti giornalisti investigativi si sono trovati a fare i conti con i supposti interessi dei finanziatori anche in passato: e si direbbe che la lotta per il mantenimento di un’indipendenza dagli interessi degli editori sia un destino quotidiano per molti di loro. Il vero problema è il metodo con il quale sono raccolti i documenti e verificati i fatti. Il metodo utilizzato per fare questa storia è stato apprezzato da Mark Lee Hunter, dell’Insead. I fatti potranno essere meglio conosciuti con ulteriori ricerche. La modalità narrativa è orientata a suscitare indignazione: basta pensare all’utilizzo della parola “assassinio” per definire l’uccisione dei “nemici” degli americani. Ma la lettura non è del genere complottista: è un caso di giornalismo. Che mostra la necessità e in un certo senso la debolezza di questo genere di ricerca in un mondo in forte trasformazione. Quali sono i rapporti tra questa inchiesta e il resto dei media? Come arriverà questa storia al dibattito pubblico americano? Come si può lavorare a migliorare la collaborazione tra i “giornalisti ricercatori” in un contesto tanto competitivo? L’evoluzione del giornalismo è connessa all’evoluzione della democrazia: ed entrambi attraversano una grande trasformazione, il cui esito non è scontato. Ma di fronte ai tentativi di contribuire occorre innanzitutto rispetto.
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