A Ottenstein, in Germania, la popolazione invecchia tanto che il paese rischia di perdere la scuola per mancanza di bambini. Ma il sindaco dice: “che cos’è un paese senza la scuola, il panettiere, il macellario, il bar?” e prende provvedimenti. La sua proposta è semplice: regala terra a chi voglia trasferirsi nel paese. Purché abbia bambini e intenda averne altri. Trenta coppie hanno risposto. Non cambieranno la demografia del paese ma salveranno la scuola che chiuderebbe se scendesse sotto i 50 bambini.
Il servizio dedicato oggi dal Ft all’invecchiamento della popolazione in Germania comincia con questa storia. E prosegue mostrando la rilevanza dell’invecchiamento della popolazione sull’insieme dell’economia del paese. Secondo le stime dell’Onu, la Germania è attualmente popolata da 82 milioni di persone, ma continuando così sarà abitata da 74,5 milioni di persone entro il 2050. Se le tendenze proseguono come oggi, la Germania rischia di perdere il primato di paese più popoloso d’Europa entro il 2050 e di perdere il ruolo di prima economia del continente.
La demografia ha questo di bello. Che le sue proiezioni sul futuro sono credibili. Perché le sue tendenze sono relativamente stabili, i comportamenti variano con lentezza, le conseguenze dei cambiamenti arrivano lentamente. E quindi la demografia aiuta a impostare il ragionamento sul futuro in modo tale da valorizzare quello che sappiamo, perché è passato e presente e perché ha lunga durata, dunque influisce sul futuro in modo solidamente comprensibile.
Certo, le variazioni demografiche possono non essere poi tanto lente, se è vero che l’immigrazione e l’emigrazione possono cambiare lo scenario in modo significativo. Ma qui entrano in gioco le variabili globali. Che aiutano a vedere come in fondo tutto il mondo invecchia. Il picco del numero di bambini, per esempio, a quanto pare è già avvenuto nel 2000: da allora ci sono due miliardi di bambini sul pianeta e non crescono, mentre la crescita della popolazione avviene soprattutto grazie all’allungamento della durata della vita (Hans Rosling).
È affascinante avere informazioni credibili sulle condizioni che ci saranno in futuro e che possono avere impatto sulla vita del pianeta, indirizzando le nostre scelte attuali. La demografia è una di quelle discipline che riesce ancora a produrne. Anche lo studio dell’ecosistema è una disciplina del genere: e non c’è dubbio che l’ecologia ormai dice che il cambiamento climatico è avviato, anche se le sue dinamiche sono più esponenziali che lineari e dunque le sorprese possono avvenire soprattutto nel caso che si sviluppino circoli viziosi e loop che aumentino velocemente l’effetto di certi fenomeni. Ma anche in questo caso si tratta di una disciplina che aiuta a lavorare nell’ambito della lunga durata: cioè sottolineando i fatti che hanno una radice visibile nel passato e nel presente ma hanno dinamiche che durano a lungo e dunque anche nel futuro. Il punto è che questo approccio, tanto specifico per queste discipline, potrebbe e dovrebbe essere adottato anche per altre materie. I tedeschi sono bravi a farlo e infatti stanno lavorando per aggiustare il loro sistema sociale ed economico allo scenario dell’invecchiamento, senza aspettare che le sue conseguenze si manifestino in modo drammatico. Gli italiani – tanto per fare un ovvio esempio – tendono invece a sottovalutare la lunga durata e la prospettiva di medio termine, preferendo prendere il massimo dal loro presente e facendo i compiti all’ultimo giorno.
In un periodo di grandi cambiamenti però l’approccio tedesco è più rassicurante ed efficiente, mentre l’approccio italiano è paralizzante: si capisce che le cose stanno cambiando, non si riflette sulle conseguenze, si rimanda il problema, si prosegue come sempre ma con il retropensiero che le condizioni stiano cambiando tanto da rendere ogni scelta più problematica e meno efficace. Da qualche tempo la sfida europea ci costringe da pensare di più al futuro: ma lo facciamo con ogni evidenza sulla base di ipotesi di importazione sul futuro. Ipotesi alla tedesca o all’americana, che tendono a sottovalutare le qualità specifiche del nostro paese. È tempo di sviluppare un modo italiano di pensare al futuro e di scegliere tenendone conto. È possibile?
Da qualche tempo andiamo dicendo che vogliamo spingere l’Europa oltre l’ossessione del rigore. Ma per farlo in modo convincente dobbiamo avere la nostra ipotesi sul futuro. Da qualche tempo stiamo dicendo che dobbiamo sviluppare le nostre startup per rinnovare la nostra economia: non possiamo farlo copiando gli americani e stando sui loro settori economici; abbiamo bisogno anche dal punto di vista economico di una nostra ipotesi sul futuro. Non è impossibile, gli imprenditori per esempio, non cessano di fare le loro ipotesi sul futuro. Sta di fatto che è ora di avere la nostra capacità di elaborare ipotesi sul futuro che partano dai nostri parametri culturali e pratici: per uscire dalla paralisi è necessario.
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