La tensione indipendentista diffusa nel Veneto non è irrilevante. I dati raccolti da Ilvo Diamanti e pubblicati sulla Repubblica indicano l’esistenza di un tema molto sentito in una popolazione frustrata nei confronti dello stato nazionale.
I motivi dei veneti sono certamente diversi da quelli degli abitanti della Crimea. Come sono da quelli degli scozzesi. O degli abitanti del Quebec. Ma segnalano l’esistenza di una dinamica che, nella globalizzazione, fa emergere una tendenza alla ridefinizione dei contesti di senso della convivenza. Gli aggregati statali reggono solo se rispondono alle esigenze della popolazione, ma vengono messi in discussione dalla competizione tra i territori, dalle aggregazioni internazionali più grandi, dalle spinte innovative che si manifestano nelle relazioni online e molto altro ancora.
Non c’è dubbio che i contesti di senso “nazionalisti” siano frutto di narrazioni più o meno credibili e desiderabili in relazione alla legittimità delle aggregazioni statali. Il popolo della Crimea, apparentemente e sotto la minaccia delle armi di un esercito invasore infiltrato, ha comunque manifestato una sua adesione ideale alla narrazione nazionalista della madrepatria russa. Il popolo scozzese sta dibattendo intorno alla convenienza di restare aggregato al Regno Unito, sulla base di una commistione di piani (la relazione con l’Europa, il nazionalismo, la relazione con Londra, il progetto di convivenza civile…). IL Quebec ha una lunga storia di autonomia linguistica e organizzativa ed è già aggregato in una struttura “sovranazionale” dalla quale a ondate ricorrenti tenta di uscire, anche accettando dinamiche poco convenienti dal punto di vista economico (come dimostra il relativo declino di Montreal rispetto a Toronto avvenuto parallelamente alla progressiva concentrazione sul francese delle regole vigenti in Quebec). Il Veneto coltiva un rancore nei confronti della struttura statale italiana (in relazione a diverse tensioni: l’uso delle risorse pubbliche, le differenze culturali, le connessioni imprenditoriali, e così via), ma non sembra aver deciso come descrivere la propria prospettiva strutturale: una sovranità veneta non è mai esistita, le città hanno conosciuto tra loro una relazione politica mediata da Venezia, un’autonomia del tipo esistente in Trentino non è ancora stata provata… Probabilmente in Veneto si tratterà di inventare una soluzione innovativa. Anche perché nei dati di Diamanti non si parla di Europa, dunque non si sa a quale livello di separazione stanno pensando i veneti.
Ma quello che emerge è che gli stati hanno bisogno di ripensarsi organizzativamente se vogliono avere un ruolo politico e valoriale. Altrimenti perdono senso. E scompaiono.
Che cosa sono gli stati? Non una patria: la nazione si è separata dallo stato e anzi diventa un contesto di senso, per quanto obsoleto, abbastanza capace di scaldare gli animi. Non i monopolisti della sovranità: è stata distribuita tra una quantità di livelli, locali o internazionali. Non un concentrato di potere efficace: non vanno abbastanza veloci rispetto all’innovazione strutturale – tecnologica ed economica – del pianeta.
Potrebbe essere che vincano gli aggregati capaci di tenere insieme le “nazioni” sulla base di standard di organizzazione, relazione, decisione civica, alimentati da un’efficiente piattaforma digitale: il che significa semplice, usabile, adattabile al cambiamento.
Il design del nuovo stato è la sola strada per la sua sopravvivenza. E la piattaforma internet è la sola strada per ridisegnare lo stato in modo sensato. Una piattaforma standard, interoperabile, aperta; un metodo per lo scambio e il riuso della applicazioni; un’interfaccia utente pensata per essere usabile. A fronte di questo emergeranno semplificazione, risparmio di costi, cittadinanza. Ci vuole però una decisione drastica: si parte dall’immagine di un sistema statale facile da usare, si realizza un “sistema operativo” e una “piattaforma” aperta e standard, si butta nella spazzatura la pletora di pezzi di software inutilmente pensati per “digitalizzare la burocrazia esistente”.
La domanda di fondo che ci si può chiedere è:
in prospettiva, al crescere della connettività individuale, quale senso di appartenenza resta nei confronti dello stato?
Come tutelare il senso di appartenenza al paese qualora i cittadini diventassero attivi anche politicamente su piattaforme social?
Alcuni anni fa avevo scritto alcune riflessioni in merito, che in parte paiono pertinenti: http://marco.guardigli.it/2010/01/evaporating-borders-need-of-new.html
@mgua
[…] Luca De Biase, “Veneto, Crimea, Scozia… Stati in difficoltà: diverse logiche ma un’unica …: Ma quello che emerge è che gli stati hanno bisogno di ripensarsi organizzativamente se vogliono avere un ruolo politico e valoriale. Altrimenti perdono senso. E scompaiono. […]