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L’immagine dei potenti: Apple, Amazon, Google

In passato, Amazon era lo sfidante del vecchio mondo di fare commercio. Si era data per missione di abbattere i costi inutili di transazione nel suo settore e di modernizzare la distribuzione. È diventata una piattaforma abilitante per una quantità di business che a loro volta sono online, spesso, per disintermediare e ri-intermediare a proprio vantaggio. Il valore della sua offerta può diventare tanto importante per le aziende clienti da costruire un lock-in dal quale pochi possono pensare di liberarsi facilmente. Quando è riuscita a conquistare una quota importante nei servizi cloud, nell’ecommerce e nella distribuzione di contenuti digitali, quando da sfidante è diventata potente, ha perso una parte della sua popolarità. E il dibattito oggi si concentra sul suo enorme potere. (FT)

In passato, la Apple era lo sfidante del vecchio mondo informatico, tutto schermi neri e caratteri verdi, dominato dalla gigantesca Ibm. Poi è stata lo sfidante della Microsoft con il suo lock-in sui sistemi operativi dei personal computer. Poi è stata lo sfidante del dominatori del business della telefonia mobile. Ogni volta ha conquistato uno spazio con le sue innovazioni e lo ha difeso con i suoi clienti più fedeli. Quando ha raggiunto una dimensione gigantesca ha perso una parte della sua popolarità. E il dibattito è spesso tornato a costeggiare temi complicati come il trattamento dei lavoratori cinesi, le regole che impone unilateralmente per la vendita di apps sul suo store, le tecnologie troppo chiuse che propone…

In passato, Google era quasi l’incarnazione dell’internet come sfida ai nemici della modernizzazione nell’accesso alla conoscenza, al monopolio Microsoft sul software per la produttività, al mondo della pubblicità tradizionale e così via… Quando è riuscita a vincere le sue principali battaglie – e a non pagare troppo le sconfitte – ha perso una parte della sua popolarità. E anche per Google è partito un dibattito intorno all’eccesso del suo potere sul mercato digitale.

L’approccio da “tifosi” nell’informatica è divertente. Ma fatalmente l’emozione nei confronti dei marchi in questo settore si raffredda. Anche perché quando una tecnologia di rete attecchisce è quasi sempre destinata a diventare molto potente (proprio per la legge di Metcalfe). In questo senso, l’idea di monopolio di mercato è abbastanza difficile da applicare al nuovo mondo digitale: perché una tecnologia unica che attecchisce o una tecnologia che conquista la posizione di piattaforma di riferimento di un settore tendono a diventare naturalmente dei monopoli (non acquisendo i concorrenti ma conquistando i clienti). E in effetti è difficile impedire che le imprese cerchino di acquisire nuovi clienti. Piuttosto, l’attenzione nei confronti di queste aziende si trasforma in una sorta di attenzione diffusa intorno alla coerenza tra le “promesse” delle aziende e ciò che fanno in realtà.

Tra queste aziende, peraltro, sembrerebbe che l’approccio Apple sia diverso da quello degli altri: perché non tenta di diventare una piattaforma monopolista per le specifiche funzioni, piuttosto cerca di mantenere fedeli gli utenti al suo mondo tecnologico, progettuale, estetico e softwaristico. Ma Apple è più fungibile di altre grandi piattaforme vincenti in questo periodo. È chiaro che anche Apple cerca le sue forme di lock-in; ma il lock-in che riesce ai servizi core di Google ha meno alternative, mentre quello che ha conquistato il servizio cloud di Amazon è più costoso da abbandonare.

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Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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