Nel mondo anglosassone, da qualche tempo, si discute del sistema con il quale vengono pubblicati i risultati della ricerca scientifica. Attualmente, in questo settore, prevalgono le pubblicazioni realizzate da imprese orientate al profitto e le cui riviste sono molto costose. Ne risulta un paradosso: anche quando il finanziamento dell’attività scientifica è basato su risorse pubbliche o comunitarie, il risultato è privato e genera profitti privati oltre che ulteriori costi pubblici per l’approvvigionamento di riviste da parte delle biblioteche e delle università.
L’Economist ha preso posizione con un articolo intitolato Open sesame nel quale il settimanale sostiene che se il finanziamento è pubblico dovrebbe essere pubblico anche il risultato della ricerca. Harvard si sta orientando verso le pubblicazioni aperte e gratuite (Guardian). Il consenso intorno a questo ragionamento appare in crescita. Naturalmente non è tutto semplice. Alice Bell è fondamentalmente d’accordo anche se dice che l’apertura delle pubblicazioni si deve accompagnare a un sistema educativo e selettivo più chiaro, trasparente e inclusivo.
È un dibattito di enorme importanza. Che avviene proprio mentre il sistema della ricerca italiano si riorganizza per valutare i propri risultati in modo rinnovato, ispirandosi probabilmente all’esperienza anglosassone e facendo conto soprattutto, appunto, sulle pubblicazioni in riviste scientifiche.
Il dibattito che riguarda le pubblicazioni scientifiche aperte nel mondo anglosassone dovrebbe dunque contaminare in fretta anche il dibattito sulla valutazione della ricerca in Italia, altrimenti si rischia di mettere in piedi un sistema che nasce già con qualche elemento di obsolescenza.
Il che si aggiungerebbe alle già molte discussioni sulla questione:
Intervista a Sergio Benedetto dell’Anvur
Il dibattito sui rankings di riviste
Chi valuta i valutatori
Vedi anche:
Il cuore all’università
Le pubblicazioni online sono spesso gratuite, ma secondo me non possono essere contemporaneamente ‘aperte’ perchè la comparsa di stessi articoli su più siti inficia il posizionamento sui motori di ricerca e rende poco originale ciascuna pubblicazione.
Il problema invece rilevante per aprire il mercato è, secondo me, a livello di sistema di accreditamento degli articoli (->punteggio).
Le pubblicazioni più piccole non possono pagare un comitato scientifico per fare la revisione degli articoli, inoltre alcuni sostengono che gli articoli dovrebbero essere commentati dai lettori che ne verificano così la validità (in tal modo funzionano i blog).
L’obbligatorietà di un comitato scientifico in revisione degli articoli rende quindi i siti internet meno appetibili per la pubblicazione di articoli di ricerca.
Infine gli articoli scientifici hanno un ridotto pubblico per cui non vi è tutto questo interesse a pubblicarli se non offrendo un servizio a pagamento. Pubblicare stabilmente articoli di ricerca equivale ad affossare un sito web, meglio quelli divulgativi.