Paolo Gentiloni parla del rapporto tra rete e sistema dei media da tempo. Un’opportunità. Come la si può cogliere? (Appunti al volo.)
1. Che cosa capita al sistema dei media e come la rete cambia? La rete tende a conquistare sempre più tempo. E supererà il tempo che gli italiani trascorrono davanti alla televisione. Oggi la tv è al terzo posto, dopo sonno e lavoro. Questo terzo posto è insidiato da internet. Ma non si passa da un vecchio mondo a un nuovo mondo: siamo di fronte a una lunga convivenza tra vecchi e nuovi media. Detto questo, il cambiamento è enorme. E investe tutto il sistema dei media. Internet non è soltanto la blogosfera che si aggiunge ai mezzi tradizionali, ma un motivo di cambiamento di tutti i media. Anche la televisione cambia, anche a causa della rete. Dal prime time al mine time: ognuno sceglie il proprio palinsesto televisivo. I telefonini alimentano intanto la snack tv. E poi alla fine arriveremo a una piena integrazione tra internet e televisione. La tv digitale terrestre è solo un passaggio temporaneo. Alla fine il protocollo internet sarà la tecnologia fondamentale anche per la televisione.
2. E per la politica? Se la rete cambia la televisione, questa è una buona notizia. E’ una grandissima occasione democratica. Specialmente in un paese con una concentrazione enorme dei media come l’Italia. L’intreccio tra la rete e i vecchi media scriverà una storia destinata a riservare molte sorprese. I giornalisti si sono aperti alla rete: l’influenza è reciproca, sicché i media tradizionali influenzano la rete e la rete influenza i media tradizionali. Per la politica, tutto questo è un insegnamento. La televisione ha avuto un impatto micidiale sulla politica. Internet potrebbe avere un impatto sulla politica analogo. Correggerà alcune conseguenze della televisione sulla politica? Non tutto. Il presentismo, per esempio, con i politici costretti a reagire immediatamente 24 ore su 24 senza approfondimento e senza riflessione. La personalizzazione: il rapporto tra leadership, corpo del leader, vita privata del leader politico. La rete non correggerà il presentismo e la personalizzazione. Ma invece correggerà altre cose: aumenterà lo scambio, il rapporto, la conversazione tra i politici e i cittadini. Una straordinaria opportunità offerta ai partiti, ai politici, ai sostenitori di cause sociali, per un migliore rapporto tra leader e cittadini. Anche se c’è sempre maggiore problema della rilevanza dell’opinione dei cittadini nel contesto di una, positiva, moltiplicazione delle persone che si esprimono. E anche se la rete non fotografa certamente la realtà: è uno spazio particolare, forse un po’ più fazioso. Ma è chiaro che potenzialmente aggiunge un insieme di straordinarie possibilità.
3. Chi fa politica ha a disposizione uno strumento nuovo, diretto, per fare il suo lavoro di agenda setting. La rete consente ai politici di porre direttamente questioni capaci di influire sull’agenda setting. Contente di facilitare il fact checking: quello che i politici hanno detto a confronto con quello che hanno fatto. Inoltre, la rete è una parte della necessaria riorganizzazione dei modelli di partito. Finiti i modelli vecchi, avviata la loro irreversibile crisi, i partiti possono sviluppare nuovi modelli: il partito di proprietà del leader a vita, oppure il partito democraticamente aperto a strumenti di innovazione organizzativa. La rete consente alla vita del partito di diventare parte della comunità in modo più trasparente. Infine, cambia il modo di fare campagna elettorale: guardiamo, senza timidezza, all’America. Howard Dean è stato una bolla. Ma Obama è stato un successo straordinario. Impariamo dalla Blue State Digital. Primo: il database con informazioni articolate sulle persone – consenzienti naturalmente – che andranno a votare (la politica incredibilmente fatica a comprenderne l’importanza; abbiamo perso l’occasione delle primarie precedenti, quando non abbiamo raccolto bene i dati). Secondo: pensare alla rete come strumento per spostare voti, nel quadro di un insieme di strumenti, pubblicità, mail, porta-a-porta. (Per spostare un voto ci vogliono 100mila volantini; ma per spostare un voto con il porta-a-porta ci vogliono 14 visite fisiche ai cittadini).
La consapevolezza di quello che provoca la rete non può essere qualcosa che resta nei convegni. Deve comportare delle modifiche all’organizzazione dei partiti. Il tesseramento online non è una cosa da poco. Inoltre, deve influire sul programma: diffondere la banda larga in tutto il territorio; lasciare in pace la rete, tutti i discorsi di controllo pubblico sulla rete – anche quelli animati dalle migliori intenzioni – sono disastrosi. E’ chiaro che ci si preoccupa della pedofilia e dell’industria culturale: ma la conseguenza non è il controllo della rete, casomai di migliorare il lavoro della polizia postale.
In sintesi. Banda larga per tutti e lasciare in pace la rete.
Infine: fusione della rete e del territorio. Straordinarie opportunità della rete e necessità della politica locale vanno viste insieme. Se si pensa che l’orientamento degli elettori è deciso dalla televisione se si pensa che sia deciso solo dai media: ma in realtà è deciso molto di più dalle relazioni tra le persone. Tradurre il coinvolgimento che si può sviluppare in rete con un coinvolgimento più ampio che si svolge sul territorio.
Sul punto 1, noto una certa tendenza a dire che siamo in un periodo di transizione, passato il quale ci assesteremo su un nuovo modello in cui esisterà ancora la televisione che avrà trovato un modo per convivere pacificamente con Internet. Beh, a me questo sembra un po’ illusorio: va bene per consolarsi e sperare in un futuro che assomigli almeno un po’ al passato 🙂
Sul punto 2, è sciocco pensare che grazie a Internet l’unica cosa che cambierà sarà il fatto che i politici potranno dialogare con i cittadini o che sarà più facile controllare l’operato dei politici (e delle pubbliche amministrazioni). Io credo che sia molto più interessante guardare al concetto di Stato come piattaforma (si legga O’Reilly su Techcrunch a questo proposito).
Sul punto 3, ugualmente non andiamo a scimmiottare BSD cercando di capire come importare il modello americano in Italia, anche perché non mi sembra pensabile che in Italia si possa fare raccolta fondi in quel modo: da noi c’è il finanziamento pubblico ai partiti; tuttora, dopo un referendum contro. Basta questo a rendere inapplicabile il modello creato dalla campagna di Obama. Senza considerare le notevolissime differenze culturali tra noi e gli americani, quelle differenze che fanno dimettere un politico americano scoperto a mentire, mentre in Italia lasciano indifferenti di fronte a un premier che ha comportamenti perlomeno discutibili.
Questa idea di un “protocollo internet” che vincerà “sulla televisione” è davvero bizzarra. Ed altrettanto bizzarra è la specifica “digitale terrestre” dimenticando (ops) quella satellitare… ci sarà un perchè?
Ed è un ex ministro che parla, lo stesso che ha tirato il freno a mano per un intero comparto industriale senza che nessuno criticasse più di tanto. Poi non si lamentassero dell’emorragia dei voti…
Ho una regola aurea, grossolana e manichea. Tu prova a dire “fact checking” e col cavolo che ti voto. A prescindere da Gentiloni che certo parte svantaggiato di suo.
Anch’io, come Mattina, non vedo una evoluzione “pacifica” nella relazione Internet/media mainstream, soprattutto televisivi. I giovani si stanno abituando a intrattenere relazioni dirette, e questo influirà sulle modalità di fruizione. Prevedo nel medio un distacco (ulteriore) dalla TV (soprattutto per l’informazione) e dalla politica politicante.
Molto dipenderà dalla capacità dei media di cambiare, pena una progressiva perdita di presa sulla realtà. Vale anche per la poltica, trovo preoccupante che la riflessione di Gentiloni sia così “povera”, è pur sempre, tra i politici, uno che ha usato la rete più intensivamente.
Vedo molto spazio per il pubblico attivo, in questa situazione