Luca De Biase
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Giovedì, 2 ottobre 2008
 

Il Senato americano approva il piano di salvataggio

Una maggioranza schiacciante di democratici e repubblicani ha approvato il piano di salvataggio della finanza americana da 700 miliardi di dollari che aumenta il debito pubblico e nazionalizza le perdite delle banche e dei loro creditori, impedendo il temuto fallimento di molti istituti di credito e bloccandone le conseguenze possibili sui risparmiatori e le imprese. La Camera aveva respinto la manovra proposta dal governo. Il Senato l'ha approvata solo dopo avere introdotto significativi emendamenti compensativi: meno tasse per i contribuenti della classe media, più garanzie per i correntisti e più sostegno per i proprietari di case. Gli emendamenti costeranno 150 miliardi di dollari. Solo 40 miliardi di minori spese pubbliche. Vedi New York Times.

Le modifiche si vedono. Il piano che era stato presentato dal Tesoro era di 3 pagine. Il testo approvato dal Senato è di 450 pagine. Tra le altre modifiche si fa notare l'introduzione di un tetto ai compensi dei manager delle istituzioni che accederanno al piano di salvataggio.

Le modifiche sono state necessarie per far passare un piano che sembrava fatto apposta per salvare non l'economia ma i banchieri, responsabili del disastro. Le leggi che nel tempo hanno liberalizzato il mercato finanziario sono state sfruttate dai finanzieri per inventare ogni sorta di marchingegno finanziario volto a suddividere il rischio finanziario in pacchetti da rifilare ai risparmiatori di tutto il mondo, aumentando la propensione al rischio delle banche e dunque aumentando la rischiosità del debito. La quantità di capitale artificialmente generato attraverso questo esasperato effetto leva ha invaso il mercato, distorto ogni logica economica e concentrato un enorme potere nelle mani dei finanzieri: un potere che è esploso tra le loro mani.

I senatori americani hanno approvato il piano di salvataggio per evitare le conseguenze immediate dello scoppio della finanza americana sull'economia reale, solo dopo aver ottenuto soldi anche per la classe media e i correntisti che temevano di veder evaporare i loro risparmi depositati in banche che rischiavano il fallimento.

Ma il debito americano che ne emerge sposta il problema sulle generazioni future e sul resto del mondo che finanzierà quel debito. Difficile pensare che tutto questo non avrà conseguenze sugli equilibri mondiali. Tra i costi della guerra in Iraq e del salvataggio dei finanzieri americani, il governo ha aumentato il debito americano di un valore poco inferiore a quello di tutto il debito pubblico italiano. Ma questo avviene in un paese che ha un enorme deficit commerciale e nel quale i consumatori sono a loro volta fortemente indebitati. La nazionalizzazione delle banche fallite, il salvataggio della finanza con i soldi pubblici, le garanzie per i correntisti sono tutti segni di un cambio di rotta clamoroso quanto obbligato nella politica e nell'ideologia americana. E', in un certo senso, una crisi di sistema. Dettata da nient'altro che dai difetti di quel sistema iperliberista che aveva creato non un grande mercato ma, come direbbe Adam Smith, una grande oligarchia capitalista. Quel sistema è andato in tilt.

Si avverte l'esigenza di innovazione nelle regole della finanza. Si avverte l'esigenza di un mercato che sia organizzato non per dare libero spazio ai potenti del capitalismo ma all'iniziativa e alle idee. Si avverte il bisogno urgente di un rinnovamento dei valori, che ridimensioni quello della crescita infinita della ricchezza monetaria a favore di dimensioni più umane della convivenza.

Quello che abbiamo davanti non è necessariamente un periodo di impoverimento. Può essere un periodo storico più concentrato sull'intelligenza umana, invece che sulla disumana ragione della finanza. Ma dobbiamo ancora articolarne le conseguenze.


7:50:45 AM    comment [];


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