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Mercoledì, 11 ottobre 2006
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Da Parigi: l'odio in rete
La polizia francese ha messo sotto sorveglianza un blog che si chiama "Black Guérilla Armée". Ma il numero di blog pericolosi è troppo grande per tenerli sotto controllo tutti. Solo su Skyblog se ne contano sei milioni. Ogni banlieue dove le bande giovanili sono padrone della strada sta producendo anche i suoi blog. Minacce, immagini, violenze verbali. Per stabilire chi comanda nella zona, anche online. L'onore dei "gangsta" (banditi) e dei "bogoss" (bei ragazzi) deve valere anche sulla rete.
Certo, la Francia sembra il paese più prolifico di blog del mondo in rapporto agli abitanti. Ma ovunque ci sia internet ci sono anche i siti della delinquenza, della violenza, del terrorismo. I siti dell'odio, come li chiama Antonio Roversi, docente di Strategie della comunicazione multimediale a Bologna che ha studiato il fenomeno. Non sapendo che cosa pensare sulla sorveglianza dei siti dell'odio da parte delle autorità francesi, ho riletto una vecchia intervista che avevo fatto a Roversi quando lavoravo per l'Espresso.
«La vista di quelle immagini dà il voltastomaco» dice Roversi. «Il fenomeno si sta allargando. La Fondazione Wiesenthal per esempio calcola che siti della destra radicale siano almeno 4 mila nel mondo. Ed è chiaro che un censimento preciso dei siti dei terroristi è impossibile: ma il panorama è vastissimo e differenziato».
«I siti della destra radicale negano l'esistenza della persecuzione nazista contro gli ebrei», racconta Roversi, «descrivono l'epoca fascista come un periodo glorioso della storia culturale occidentale e declinano il loro antisemitismo nei modi più diversi, mostrando in sostanza il popolo ebraico non come vittima ma come carnefice». Il che, come spiega Gilles William Goldnadel nel suo libro - "Les Martyrocrates. Dérives et impostures de l'idéologie victimaire" - è un'operazione strategica per la conquista del potere: dopo la Shoa, sono solo le vittime a raccogliere unanime consenso per la loro causa. «E in effetti», prosegue Roversi, «i siti antisemiti, della destra radicale o del terrorismo mediorientale, devono comunque negare l'Olocausto e dipingere gli ebrei come boia sanguinari». È una retorica dell'odio contro quella che descrivono come l'etnia dominante globale, nei termini proposti da Amy Chua nel suo saggio che, in versione italiana, è intitolato, appunto, "L'età dell'odio".
Ma, la retorica dell'odio, su Internet, tende a rendere somiglianti i siti dei più diversi movimenti violenti. La ricerca di Roversi, in effetti, era partita dall'analisi dei siti degli ultras calcistici. E lo ha condotto a scoprire un mondo di odio in Rete. «Ci sono ultras calcistici italiani che fanno propaganda per costruire una loro comunità. Ma in effetti predicano la lotta la violenza fisica contro il nemico». Le assonanze sono clamorose. La durezza del linguaggio e gli obiettivi, ovviamente, sono differenti. La struttura della comunicazione, invece, è abbastanza simile. Del resto, c'è anche, violentissimo, il fondamentalismo religioso cristiano: per esempio, il sito Holywar denuncia dal suo punto di vista il tradimento operato dalla Chiesa post-conciliare ai danni della vera fede cattolica e affida alle fotografie di feti umani la sua pedagogia dell'odio contro gli abortisti. Il suo nome, del resto, afferma senza mezzi termini l'idea che una guerra santa è uno degli strumenti che anche i cristiani possono e devono usare per raggiungere i loro obiettivi.
Ma qual è l'effetto di tutto questo? Evidentemente non è Internet la causa dell'odio. Ma ne è di certo uno strumento efficace. Chi odia, in Rete, può trovare costantemente nuovo alimento per il suo sentimento, può organizzare le azioni che decide di intraprendere per dar sfogo alla voglia di sangue, può fare proselitismo ed educare ai valori che ritiene debbano guidare il mondo. Internet si conferma insomma una macchina che abbatte qualunque barriera alla comunicazione. Nel bene e nel male. Nel vero e nel falso. Del resto, c'è sempre chi usa la libertà per superare i limiti della pacifica convivenza civile.
Come difendersi? «Censurare Internet non ha senso» dice Roversi: «La Rete non si può fermare. Meglio scoprirne i vantaggi: chi non si accontenta di leggere i resoconti ufficiali delle vicende di attualità e ha stomaco, può consultare i siti dell'odio e farsi un'idea indipendente. Le opinioni di chi sostiene la pace e la convivenza tra i diversi popoli non ne saranno indebolite: anzi, la loro azione democratica diventerà più consapevole».
Non so, ripeto, che cosa pensare. L'ottimismo fondamentale di Roversi è confortante. Forse ha ragione. Ma resto dubbioso: chiudere i siti dell'odio non serve perché se ne possono aprire tanti altri, ma lasciare che tutto scorra spontaneamente può sembrare piuttosto irresponsabile.
C'è solo una risposta profonda e difficile, controversa e sempre più debole: ma per questo forse sempre più vera. Affermare che la non-violenza è l'unica strada per cambiare il mondo sul serio. Come diceva Gandhi: "Il fine è nei mezzi come l'albero nel seme".
10:40:59 AM
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Luca De Biase.
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2-11-2006; 20:42:33.
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