Una polemica è nata intorno a una questione piuttosto insignificante qualche giorno fa, dopo una battuta che ho detto in un convegno. Questo post serve a chiarire che cosa penso di due parole: storytelling e storia.
Lo storytelling è una tecnica di fondamentale importanza, divertente, inevitabile. E come ogni tecnica può essere usata per scopi nobili e discutibili. Serve a molte cose, comprese queste:
1. usare il racconto per far digerire meglio concetti astratti
2. usare il racconto per far digerire meglio concetti indigesti
3. usare il racconto per far digerire meglio concetti velenosi
Il racconto attiva l’attenzione, immette in circolo le emozioni, coinvolge, mette in un ordine le idee. Non se ne può fare a meno e non se ne farà a meno. Ma chi lo sa usare può essere un generoso narratore o un bieco manipolatore, con tutto quello che c’è in mezzo. Ma il punto non è discutere di questo, che è ovvio.
Il punto è discutere di che cosa succede quando lo storytelling diventa una tecnica fine a sé stessa. I professionisti dello storytelling che applicano la loro capacità a qualunque argomento, mercenari delle idee che riescono a coinvolgere le persone su qualunque causa, sono professionisti legittimissimi: conviene però decodificarli e difendersene. Perché riescono a creare delle bolle narrative all’interno delle quali i loro seguaci credono di agire progressivamente mentre in realtà sono fermi o addirittura arretrano. La distinzione può essere sottile. Ma coltivare il senso critico è una pratica di libertà.
Il punto è che alla fine, quello che conta è scrivere la storia. E chi lo fa, non passa il tempo a raccontare quello che farebbe. Pensa e fa.
Le persone che scrivono la storia sono spesso meno riconosciute di quanto meritano. E gli “storici” che, studiando con impegno, le riconoscono, sono a loro volta meno famosi di quanto meriterebbero: fanno ricerca con metodo, verificano le fonti, si mantengono costantemente critici per allenarsi alla distanza che serve a difendersi dagli abbagli e dalle manipolazioni. Vedono i fatti in prospettiva, non si fanno ingannare dalle apparenti novità. Aiutano a sapere come stanno le cose: non si limitano a propagandare come desidereremmo che fossero.
Lo storytelling è un bagliore passeggero nella lunga storia degli umani, di cui tutto fa parte. Storytelling compreso. Ma chiariamo. Chi fa storytelling fa un mestiere. Chi crede di vivere nel mondo creato dallo storytelling fa un errore.
Chi vive scrive la storia. Chi studia la storia si pone al servizio della comprensione della vita. La storia è, insieme, il risultato della vita umana e la sua interpretazione.
La pratica del discernimento, tra i bagliori abbaglianti e le strutture che indirizzano il corso della vita, è la prossima grande innovazione. Imho.
[…] Una questione che tocca molto da vicino il lavoro sugli audiovisivi (e non solo) che svolgiamo nella nostra Accademia. Per leggere il post di De Biase clicca qui. […]
Una riflessione di Roby Veltroni. Da Storytelling a storyworking
Veicolare dei messaggi significativi attraverso i racconti di storie di vita é la cosa più innata e tradizionale che possa esistere. Penso che sia stato riscoperto oggi alla luce delle nuove tecniche digitali che permettono di realizzare un prodotto ben fatto in grande economia. Un prodotto per le nuove masse tecnologiche in grado di recepire messaggi semplici e chiari e dove l’invito a uno sforzo interpretativo di segni visivi e sintesi linguistiche viene percepito come noia e pesantezza.
[…] Non sei tu che ti devi adeguare allo storytelling, ma è lo storytelling che deve interpretare davvero chi sei: tutto il resto è fuffa. E se hai dubbi in proposito, ti consiglio la lettura di questo post di Luca De Biase. […]
Perfettamente d’accordo.
[…] costruiamo o li facciamo costruire coscientemente falsi ad arte. Perché, come scriveva, davvero, Luca De Biase, qualche settimana fa in un suo bel post, chi sa usare la tecnica dello storytelling “può […]
Tempo fa dissi a qualcuno che la truffa dei libri scritti dai ghost writers è da sempre accettata da tutti. Infatti chi scrive i best seller poi alla fine è quel povero scribacchino che fa le nottate e il cui nome non comparirà mai su nessuna copertina. Questa cosa la trovo davvero scorretta soprattutto per chi compra i libri pensano che siano opere frutto dell’ingegno di quel tale scrittore famoso. Quindi è una doppia truffa addirittura. Eppure nessuno ne ha mai parlato di questo. Come se io dovessi comprare un Leonardo Da Vinci che però non è stato dipinto da lui. Tu lo compreresti? Io no.
[…] De Biasi | Chi supera lo storytelling e ricomincia a scrivere la storia | “Il punto è che alla fine, quello che conta è scrivere la storia. E chi lo fa, non passa […]
[…] Lamberto Maffei, Elogio della ribellione (Il Mulino) [2] Luca De Biase, Chi supera lo storytelling e inizia a riscrivere la storia [3] Don Lorenzo Milani, Lettera a una professoressa (Libreria editrice fiorentina) [4] Antonio […]
[…] p.s. If interested in some articles about storytelling written by some Italians looking also at the Italian situation, I found extremely interesting two articles: a first one is written by a collective laboratory of writing and journalism called MAZ Project and you can read it here; a second one published on De Biase’s blog that talks about the relation between storytelling and history and you can find it here. […]
[…] verso la prosperità che gli è propria. Forse, come fa notare il giornalista e scrittore Luca De Biase, solo “chi supera lo storytelling ricomincia a scrivere la storia” perché “Chi crede di […]
[…] ma dalla storia, 8 dicembre 2015 A proposito di storia e storytelling, 20 dicembre 2015 Chi supera lo storytelling e ricomincia a scrivere la storia, 6 maggio […]
[…] Lamberto Maffei, Elogio della ribellione [2] Luca De Biase, Chi supera lo storytelling e inizia a riscrivere la storia [3] Don Lorenzo Milani, Lettera a una professoressa [4] Antonio Galdo, L’egoismo è finito […]