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MI030. Prospettiva a 15 anni: non cambia tutto, ma si cerca la misura umana del cambiamento

Stefano Boeri ha organizzato con un’attiva squadra di giovani un incontro chiamato MI030 per coinvolgere centinaia di ragazze e ragazzi in una discussione sul mondo nel 2030. È in corso in questo momento alla Torre Diamante (foto), a Milano, su tre piani tra il 20° e il 24°: la vista è stupenda e chissà che non contribuisca a favorire il lavoro di chi vuole costruire una nuova prospettiva sulle cose pubbliche.

Bisogna ammettere che il clima lassù è interessante. L’impegno dei ragazzi è chiaro e la loro disponibilità è evidente. Ci sono anche degli anziani che ogni tanto prendono la parola ma la sostanza la fanno loro. E il dibattito oscilla tra le spinte utopistiche, il bisogno di interpretare le dinamiche evolutive della tecnologia, il disagio che le novità difficili da interpretare generano.

Casomai la difficoltà consiste nel fatto che molto spesso la discussione si incaglia nelle novità e perde di vista la libertà connessa all’obiettivo di pensare così a lungo termine. È come se l’immaginazione sul futuro a quindici anni riuscisse a essere imbrigliata dal caotico presente, così obiettivamente difficile da interpretare. Ma solo se ci si pone l’obiettivo di guardare lontano ci si può riuscire.

Il primo passo metodologico è chiaro: come insegnano i future studies, la prospettiva si costruisce considerando due o tre volte tanto passato quanto futuro si cerca di immaginare. E applicando in questo modo l’umiltà del ricercatore al ripensamento su quello che è successo negli ultimi trent’anni, ci si accorge che l’arrogante mantra del “cambia tutto” ripetuto da molte persone, autorevoli e non, è sempre stato smentito dai fatti. E si può immaginare che lo stesso si possa dire guardando in avanti. Distinguere tra ciò che cambia e ciò che non cambia è un punto di partenza per alimentare la concretezza di qualunque visione e progetto.

Che cosa non cambia, per quello che si vede finora? 1. per esempio, non cambia il fatto che il potere vuole perpetuare sé stesso. E non si lascia infinocchiare dalla prima nuova tecnologia che passa di lì. 2. non cambia la tendenza di chi ha successo a costruire un sistema di potere a sua volta. 3. non cambia il fatto che le innovazioni profonde continuano a nascere dalla critica e non dal conformismo. 4. non cambia il fatto che la tecnologia non è tutto quello che serve a cambiare le cose, ma un pensiero attivo sulla tecnologia è rafforzato nella sua progettualità in modo importante. 5. non cambia che senza buone domande non si arriva a trovare buone risposte. E così via.

Che cosa è cambiato finora? Moltissimo. Le strategie cognitive delle persone si sono spostate profondamente: per esempio, dalla memorizzazione dei fatti alla capacità di cercare i fatti. Nella vita quotidiana, lo spazio percepito si è allargato e il tempo percepito si è accorciato. Nell’economia il valore si è concentrato sull’immateriale. Nella cultura l’autorevolezza incardinata nelle istituzioni tradizionali ha trovato alternative che seguono logiche totalmente diverse. Nella società le relazioni si sono arricchite di nuove abitudini e si sono indebolite per le nuove velocità degli scambi. Ma è inutile continuare con un elenco inesauribile.

Il punto è che tutte queste situazioni che cambiano e che non cambiano sono altrettante domande a chi pensa a lungo termine, magari condotto da un senso di cittadinanza attiva, di sincera generosità civica, alimentato da una forte progettualità orientata a migliorare il mondo, a renderlo meno ingiusto e più libero.

È impossibile affrontare il cambiamento del modo con il quale le persone si informano, tanto per fare l’esempio del gruppo di lavoro al quale ho partecipato, senza pensare contemporaneamente alle difficoltà dei giornali tradizionali e all’emergente enorme potere di Facebook o all’importante influenza culturale e cognitiva di Google. È impossibile riconoscere un senso nel lavoro dei giornalisti concentrandosi sui cambiamenti nei modelli di business e senza tener conto della lunga durata del valore del metodo che distingue dal punto di vista qualitativo la ricerca dell’informazione. La critica dovrà restare al centro della progettualità: perché questa non si può basare sulla proiezione nel futuro delle tendenze tecnologiche, ma deve immaginare contemporaneamente ciò che la tecnologia rende possibile, ciò che l’immaginazione scopre possibile, ciò che la competizione e il conflitto selezionano possibile.

La sfida di Boeri e dei suoi amici è grande. Chi pensa davvero ai prossimi quindici anni si confronta con tutto sé stesso, con tutta la sua esperienza, con tutta la sua immaginazione, con tutta la sua umanità. E quando si pensa così si passa un buon pomeriggio.

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Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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