“Si scrive Agenda digitale. Si legge posti di lavoro e competitività”. Parole di Francesco Caio, amministratore delegato di Poste Italiane e, fino a qualche mese fa, commissario per l’Agenda digitale italiana. A partire da quell’esperienza ha scritto il libro “Lo Stato del digitale. Come l’Italia può recuperare la leadership in Europa” che esce mentre l’Italia assume la guida semestrale del continente e mentre il governo italiano decide sulla direzione dell’Agenzia per l’Agenda digitale.
Sulla base della sua esperienza, Caio è convinto che si possa arrivare a riformare il funzionamento dello Stato con conseguenze fondamentali in termini di risparmi, crescita, benessere, cittadinanza. Purché si cessi di lavorare per competenze separate, soluzioni non interoperabili, progetti di digitalizzazione dell’esistente. “La digitalizzazione è un’occasione unica e irripetibile per costruire uno Stato più friendly, più trasparente, agile, che cosa molto meno”.
In effetti è possibile ottenere migliori risultati con minori costi, soprattutto centrando i progetti sulle esigenze dei cittadini e non sulle procedure dell’amministrazione nate nell’epoca della carta, dei bolli e delle megastrutture burocratiche.
Le frontiere della ricostruzione digitale dello Stato sono molteplici in qualche caso fantasiose, di certo affascinanti: si parla di semplificare e qualificare i servizi a partire dal design dell’interfaccia, specialmente mobile; si parla delle forme con le quali le leggi possono essere tradotte in software che ne semplifichi l’implementazione (Francesco Sacco ne sta studiando alcuni casi); si parla e si opera intorno alla apertura dei dati pubblici e dell’organizzazione di hackathon per la costruzione di applicazioni che usino quei dati (la Camera ne ha già organizzata una); di progetta la standardizzazione e l’interoperabilità delle piattaforme pubbliche in chiave cloud anche per facilitare il riuso delle applicazioni sviluppate in alcune amministrazioni da parte di altre amministrazioni, e così via. Ma è solo uno dei contesti nei quali si opera per implementare l’agenda digitale, perché la pubblica amministrazione è un abilitatore, ma gli altri capitoli non sono meno importanti: per esempio, alfabetizzazione e digital skills, infrastrutture di connessione, filiere della ricerca e delle startup, e così via.
Caio ha obiettivamente accelerato alcuni processi strategici per l’agenda digitale italiana, concentrandosi su temi abilitanti (anagrafe, fatturazione, identità), puntando sulla standardizzazione e semplificazione strutturale, avvalendosi delle sue indubbie capacità manageriali, contando sull’appoggio del governo. Ha incontrato ostacoli accettandone alcuni e asfaltandone altri. Ma ha dato una direzione e un esempio di prassi. Ora il lavoro avviato va concluso e con una prospettiva più lunga di quella che aveva Caio deve allargarsi e approfondirsi. E’ il momento. I vincoli di bilancio possono essere dilatati solo in cambio di riforme strutturali e se queste coincidono con gli investimenti necessari a realizzarle, la strada diventa piuttosto chiara: la riforma digitale della pubblica amministrazione è una riforma strutturale ed è un investimento. In quel contesto, nessuno può giocare con i termini e con i soldi. I partner europei possono vedere il valore dei soldi che ammettono siano spesi. E gli italiani possono vedere crescita e miglioramento qualitativo della vita civica.
In tutto questo, un insegnamento di Caio è fondamentale. E con esso si chiude il libro: al centro della costruzione digitale occorre chi svolga la funzione dell’architetto.
Vedi anche:
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