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TEDxRoncade. Biodiversità, infodiversità, intelligenza collettiva

La campagna sul limitare della trevigiana, verso la laguna, a fianco del lento scorrere del Sile, è una pianura aperta, solo apparentemente sterminata. Ci si muove di poco, nelle varie direzioni, e si incontra la modernità industriale mescolata alla tradizione più antica: l’aeroporto, l’autostrada, lo sterrato di campagna; il paesaggio dei capannoni, quello dei centri commerciali, il castello e le pievi; i canali, le macchine dell’agricoltura intensiva e le barche dei raccoglitori di frutti di mare.

Perché le case, nella zona di Ca’ Tron, sono tanto lontane tra loro?

Marco Cattini attraversa con lo sguardo la campagna dal finestrino del pulmino che ci conduce alla tenuta di Ca’ Tron. E risponde alla domanda con la naturalezza che avrebbe una persona vissuta qui da una mezza dozzina di secoli: «Qui c’era un grande bosco dove la Repubblica di Venezia raccoglieva il legname necessario alla costruzione delle sue navi. Poi, quando lo ha trovato conveniente, ha deciso di assegnare il territorio agli agricoltori in appezzamenti di ampiezza sufficiente a garantire loro una robusta sopravvivenza. E ciascuno ha costruito la sua casa in mezzo ai campi. Lontano dalle case degli altri».

La lunga durata è una dimensione della storia che ci portiamo tutti dentro. Più o meno inconsapevoli. Gli schemi che una civiltà ha sviluppato per modellare la sua geografia cambiano al ritmo dei millenni: sono schemi organizzativi e mentali talmente profondi da sfidare ogni apparente cambiamento. Le novità sono così costrette a dimostrare la loro importanza: sono innovazioni solo se vanno abbastanza a fondo da trasformare la traiettoria del futuro, adattando il territorio alla loro visione. Nella maggior parte dei casi, la sfida è vinta dalla lunga durata. Solo talvolta non è così. Ma di solito succede solo quando il presente è consapevole della trasformazione che sta vivendo.

Cattini racconta come per secoli questa terra è stata organizzata in modo che ciascuno si potesse coltivare il terreno con l’unica prospettiva di sopravvivere e dare una sopravvivenza ai proprietari: l’orizzonte di ciascuno era limitato dallo spazio nel quale produceva i mezzi del suo sostentamento, il tempo era ripetitivo, circolare, il benessere dipendeva dalla meteorologia, il comune aiutava a tenere da parte qualcosa per le annate difficili. Il mercato si subiva, come il tempo atmosferico. Il pubblico aiutava o, forse qualche volta, taglieggiava. Piccole aziende che ripevevano all’infinito sempre lo stesso schema, pensando alla propria sopravvivenza, immerse in meccanismi naturali, politici ed economici più grandi di loro e non controllabili. Uno schema secolare, difficile da cambiare, nell’organizzazione sociale e culturale. È probabilmente restato nelle menti durante i pochi decenni di trasformazione recente: lo stravolgimento dell’industrializzazione, il consumismo, l’epoca della conoscenza segnalata dalla presenza in questa campagna dell’H-Farm, incubatore di startup… Tutto è avvenuto molto in fretta. La cultura è più lenta a cambiare. Eppure cambia.

Ieri il TEDxRoncade è stato un’esperienza di ricerca e una boccata di ossigeno per almeno 300 persone che hanno seguito gli interventi con una partecipazione rara. Il format è evidentemente di grande aiuto. Il team che ha reso tutto possibile è stato delizioso. Gli interventi generosi. Le persone presenti sentivano che si parlava di loro. Le loro radici, il contesto nel quale sono cresciute, i dubbi epocali che le attanagliano, le prospettive che insieme stanno cercando. Gli interventi a loro volta hanno testimoniato una dimensione del possibile che pure riguardava tutti. Si è formato un equilibrio straordinario. Frutto dell’incontro di tutti.

Che cosa mi sono portato a casa? Niente riassunti, gli argomenti sono sul sito: i video arriveranno. Solo qualche idea:

Il design dell’informazione modella ciò che sappiamo del possibile

Si riparte cercando di sapere come stanno le cose. Si costruisce la società della conoscenza a partire dalla consapevolezza. Ma la qualità di ciò che sappiamo dipende dal metodo con il quale generiamo le informazioni. Sapientemente Jacopo Barigazzi ha accostato una foto di Karl Popper alle immagini delle testate giornalistiche che attraversano una crisi epocale. Dino Pedreschi ha mostrato come i big data possano illuminarci su temi fondamentali della vita quotidiana creando una struttura di conoscenza che, se aperta, può cambiare la prospettiva. Salvatore Iaconesi ha fatto vedere come il design possa hackerare le abitudini e Luca Chittaro ha raccontato come l’interfaccia possa influenzare le decisioni. Il possibile è ciò che sappiamo che sia. Ma possiamo sapere di più. E meglio.

L’ecosistema disegna la nuova prospettiva del progresso

Telmo Pievani, Marco Cattini, Roberto Cingolani, Giustino Mezzalira, Duccio Cavalieri, hanno dato conto dell’evoluzione “naturale”, tecnologica, storica, geografica, microbiologica e culturale con esempi che squarciavano il velo dell’abitudine. Mangiare assieme alle termiti migliora la resistenza alle malattie, curare le risorgive migliora la biodiversità, progettare robot imitando la natura può portare oltre l’elettronica per conquistare un’efficienza perduta. Ma soprattutto il pensiero lineare che ha caratterizzato l’interpretazione del mondo per secoli non ha più senso. L’ecosistema è la realtà in cui viviamo e nello stesso tempo la metafora generativa di una nuova prospettiva. Un ecosistema progredisce con la biodiversità. Una cultura progredisce con l’infodiversità. L’evoluzione e la sua dinamica hanno qualcosa di profondo in comune con ciò che diventerà l’idea di progresso. E di una nuova idea di progresso abbiamo bisogno, per accompagnare in un contesto di senso, lo sforzo necessario a innovare.

L’intelligenza collettiva ha tanto valore quanto le biografie che connette

Il movimento collettivo non si affida più a parole spersonalizzanti come “massa” e “target” ma cerca di emergere dalla connessione tra le persone attive. L’intelligenza collettiva è un concetto che può evolvere solo se riesce a dar conto contemporaneamente della potenza dell’insieme e della creatività, generosità, visione delle singole persone attive. Paola Maugeri e Marco Simonit hanno dimostrato quanto possa la passione, l’impegno, l’ascolto, l’estetica, la disciplina etica. Mimmo Cosenza e Gianni Gaggiani hanno condiviso i loro progetti mostrando a loro volta come la visione e la narrazione siano parte integrante del percorso concreto verso la realizzazione: almeno tanto quanto la competenza e la pazienza.

Cambiare la realtà è cambiare il punto di vista

Una città può cambiare recuperando un suo centro di senso e riprogettandolo in vista del futuro. Un’audience può cambiare aprendosi all’ascolto della ricerca di artista. Una mente può cambiare acquisendo la consapevolezza di quanto le sia difficile farlo. Barbara Baldan, Robert Gligorov, Ugo Morelli, ciascuno a suo modo hanno mostrato che cambiare la realtà è cambiare il punto di vista. Oggi sta accadendo.

Per arrivare a una nuova idea di prosperità, la prospettiva e la generazione di un’idea di progresso che accompagni il progetto, per diventare programma collettivo. I “pro” sono molti, in queste parole…

Ora aspettiamo i video. Ci sarà molto da pensare per migliorare la prossima edizione. Ma se riusciremo sarà grazie all’esperienza che i partecipanti ci hanno regalato in questa prima volta.

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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