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Digital champion, Twitter e banda larga

Che cos’è un “digital champion”? Una persona che comprende il potenziale di sviluppo che è liberato dalla rete, si batte perché il paese si doti di un’infrastruttura digitale adeguata, abbia il coraggio di parlare senza peli sulla lingua dei ritardi del paese sull’agenda digitale, non abbia paura dei grandi poteri del settore, interpreti la domanda di modernizzazione. Se poi il “digital champion” opera in un paese arretrato come l’Italia e viene incaricato di guidare la realizzazione dell’agenda digitale ottenendo risultati strategicamente rilevanti, pur nell’impossibilità di risolvere tutto in un solo colpo, il suo compito diventa prezioso. Se infine è chiamato a stilare un rapporto di valutazione sulle prospettive di sviluppo della banda larga e si trova a dover valutare l’operato dei giganti delle telecomunicazioni italiane, la sua attività diventa una battaglia epocale.

Francesco Caio è in questa posizione. Oggi pubblica il suo rapporto sulle telecomunicazioni. Andrà letto con attenzione. Se i politici avranno il coraggio a loro volta di prenderne consapevolezza nella sua interezza approfondendo il tema oltre quanto riporteranno i titoli dei giornali, opereranno alcune decisioni piuttosto significative. A quel punto, dopo essere riuscito a riavviare progetti strategici per la riforma dello stato come l’anagrafe nazionale, l’identità digitale, la fatturazione elettronica, il lavoro a termine di Caio sarà da ricordare come quello di un vero campione digitale per un paese che spesso non comprende l’importanza dello sviluppo digitale.

Caio non ha potere. Ha cervello e competenza. E sa farsi ascoltare dai politici e dal governo. In questo senso il suo è il compito di un intellettuale impegnato. La sua funzione pubblica, a quanto ha detto, si concluderà tra un paio di mesi. Se il suo lavoro sarà valorizzato dai politici sarà un successo. Altrimenti resterà nel mondo delle idee: e la responsabilità di questo ricadrà sui politici, a mio parere.

Di certo, ha pensato di non comunicare in modo sistematico sulla sua attività utilizzando i media sociali. E non ha avuto i mezzi necessari a spiegare la dinamica del suo lavoro con un sito dedicato. Sono problemi che, per esempio, hanno condotto ieri a una polemica piuttosto vasta avviata dal post di un giornalista che non ha gradito la scarsa propensione di Caio a pubblicare su Twitter. È certamente un argomento di discussione. Ma il senso delle proporzioni dovrebbe condurre a valutare meglio ciò che è importante e ciò che lo è molto meno. Imho.

ps. Forse Catalano direbbe: “è molto meglio un digital champion che cinguetta poco ma riesce a far cambiare la politica delle infrastrutture e della burocrazia di un paese arretrato piuttosto che un forte cinguettatore che non arriva da nessuna parte”. Ma naturalmente questa valutazione potrebbe essere influenzata dal fatto che personalmente ho dato una mano, seppure molto modesta, a Caio che ho imparato ad apprezzare per la competenza e l’umanità, anche se non sono riuscito a convincerlo dell’opportunità di creare un sistema di informazioni pubblico e profondo sull’agenda digitale. Di certo, spero che il suo lavoro finisca per avere successo sugli obiettivi che si è dato. E spero che questa speranza – di sostanza – sia condivisa.

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Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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