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Siete politici nuovi? Diteci subito che cosa volete fare

Come sa chi segua per qualche motivo questo blog, la “politica politicante” non è il principale argomento che vi si trova. Ma la giornata impone una piccola variazione.

I politici sanno di aver perso molta credibilità negli anni passati e lo ha dimostrato per assurdo un anno di governo condotto da persone che abitualmente non fanno i politici. Sappiamo peraltro che l’anno prossimo torneranno a incidere le tensioni “politicanti”. E, data l’esperienza passata, è proprio questo che preoccupa le forze che possono aiutarci o mandarci al macello: i decisori degli investimenti internazionali, i funzionari europei, i capi di stato stranieri, gli imprenditori italiani che possono scegliere se investire qui o altrove, i talenti italiani che possono decidere se restare qui o andare a lavorare altrove, e così via.

I politici possono meno di quanto sembri. Tanto che il ministro Giarda, forse con un pizzico di spirito paradossale, suggerisce il termine di “epifenomeni“. Ma qualcosa contano: di sicuro, con il loro stile e i loro discorsi, sintetizzano il modo con il quale le persone si sentono rappresentate. Così incoraggiano comportamenti più o meno civili, diffondono sfiducia o fiducia, generano spirito di collaborazione o di cinismo individualista, e così via. Inoltre, contano quando offrono una prospettiva: lavorando per stabilizzare un sistema normativo col quale fare i conti per investire, dimostrando di voler davvero combattere l’illegalità e l’evasione fiscale, studiando i dossier o lasciando che tutto vada avanti a caso, e così via. Talvolta prendono anche decisioni che vanno in una direzione diversa da come andrebbero le cose senza una leadership, ma questo è prentendere molto.

Già nel marasma pre-elettorale avviato oggi si può dimostrare di essere nuovi.

Dichiarando in anticipo il metodo con il quale si pensa che sarà formato il governo, per esempio. Supponiamo che, stando così le cose, il prossimo parlamento risulti formato da un 40’% di Destra e di M5S e il resto diviso in modo poco prevedibile tra Pd-Sel e Centro. Non si potrebbe decidere ora, per esempio, quali risultati elettorali renderebbero preferibile un governo Monti e quali un governo Bersani? Tanto per fare un esempio: non si potrebbe già dire che se Bersani vince più del 55% dei parlamentari guida il governo e se così non fosse si affiderebbe a un governo Monti? E non si potrebbe dire subito quali sarebbero le riforme prese nei primi 100 giorni (tipo approvazione del decreto sviluppo, conflitto di interessi, nuova legge elettorale) avvertendo tutti che il sistema di compatibilità deciso nel 2012 non verrà toccato, ma al massimo riconfigurato in modo più equo? Perché lasciare tutto nel vago per i mesi pre-elettorali e poi mettersi a discutere perdendo i primi 100 giorni in una quantità di accordi che potrebbero essere presi prima, prevedendo diverse ipotesi di risultato elettorale?

Può darsi che siano domande un po’ naif. Ma in fondo, potrebbero semplicemente essere una premessa per stabilire un metodo più ordinato di gestione delle fasi di passaggio. E probabilmente otterrebbe l’effetto di ridurre lo spazio di manovra delle forze che, per ora, sembrano destinate all’opposizione. Imho.

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Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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