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Preparando un seguito a “the case for an Italian rebellion”

In un post pubblicato recentemente su questo blog ho affrontato l’ipotesi di una ribellione in Italia. Ipotesi che solo a esprimerla suscita reazioni emozionate. Ma che era stata formulata perché viaggiando all’estero, non cessavo di incontrare persone che mi chiedevano «perché gli italiani non si ribellano?»

La domanda può stupire, qualcuno. Certo, i motivi di ribellione non mancherebbero – gli scandali, la mancanza di decisioni adeguate a rispondere alla crisi finanziaria, l’immagine degli italiani in crollo –  e del resto è più facile formularla all’estero, perché la visione dall’estero della situazione italiana tende a semplificare.

Il testo è scritto in inglese (con molti difetti espressivi e grammaticali, purtroppo, dovuti alle mie limitate capacità) perché era rivolto a quelle persone e alla loro domanda. Probabilmente chi avrà la pazienza di leggerlo scoprirà che non vi si sostiene niente di violento. Di certo, non è il suo scopo: non stiamo parlando di vetrine rotte e altre assurdità. Stiamo parlando di un’opzione politica: se il sistema politico non riesce a rinnovarsi, i cittadini possono fare qualcosa di più che non sia semplicemente aspettare le prossime elezioni? E che cosa potrebbe interessare ai cittadini italiani che apparentemente stanno coltivando una sorda rabbia e una forte preoccupazione – entrambe in genere non partisan – ma non sembrano ancora orientati a esprimersi in modo vagamente organizzato intorno a questi sentimenti? Nel post si parla dell’esperienza, orribile, degli italiani con il terrorismo e della loro attuale apparente passività. Si ammette che gli italiani non resteranno necessariamente passivi. Ma si presuppone che sentano il bisogno di qualcosa di più profondo che di una fiammata rivoltosa. Una visione, una maturazione e modernizzazione culturale, una ricostruzione: non una ribellione distruttiva, ma casomai una rivoluzione costruttiva, preceduta da un salto di qualità culturale.

Si tratta di dare contemporaneamente un segno di rinnovamento e di civiltà.

Il caso dei referendum, vinti grazie anche alla comunicazione online e nonostante il generale silenzio della televisione, ha dimostrato che qualcosa sta cambiando. Ma ancora non stiamo riuscendo a dare un nome a quel cambiamento e a costruire un’agenda dei cittadini intorno a quel cambiamento.

La discussione sorta intorno a quel post è stata varia e appassionata. I commenti al post e le reazioni su Google+, Facebook, Twitter, sono stati piuttosto importanti. Ma per arrivare a un nuovo post, questa volta non rivolto all’estero ma all’Italia, occorre ancora una fase di riflessione. Spero che altri consigli e punti di vista arrivino per poterne tener conto. Comunque tornerò presto sull’argomento se avvertirò la possibilità di dare un contributo costruttivo.

La domanda, latente, rimane: perché gli italiani non si ribellano? Stiamo vivendo una storia importante. La stiamo anche scrivendo?

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  • Credo che la chiave di lettura migliore sia che, se pur a passi incerti, stiamo andando verso una nuova consapevolezza globale. Che nasce soprattutto nelle giovani generazioni che interagiscono su internet, si informano e capiscono che ci vuole una nuova idea di sviluppo.
    Sarebbe bello che l’Italia fosse capace di anticipare questo cambiamento ed esserne il motore. Ci riscatterebbe da 15 anni di Berlusconismo e di incompetenti al governo.
    Ho 31 anni, due lauree, e so quello che dico. Molti di noi sanno tutte le cose che non vanno in Italia e tutte le cose che dovrebbero essere fatte. Non mancano le risorse, le capacità umane, le competenze nelle nuove generazioni, che spesso capiscono meglio e prima di questa classe politica ormai obsoleta.
    E’ evidente come il Paese sia ormai in caduta libera, guidato da una banda di INCOMPETENTI nel senso letterale del termine, a destra e a sinistra (se una tale divisione ormai ha ancora senso), e come l’inazione sia ormai intollerabile.
    Io dico che bisogna affrontare la cosa come un problema e cercare una soluzione efficace per risolverlo. Che funzioni e che sia realistica. Prima che sia troppo tardi
    Allora cosa vogliamo fare?
    Una rivoluzione violenta è assolutamente non percorribile e fuori discussione. Ma questa gente, questi incompetenti (quando non criminali) che pretendono di guidare un paese, non se ne andrà mai da sola. Quindi?
    Io dico che è arrivato il momento di agire. Come? Muovendosi in 2 opposte direzioni:
    1) Usando La rete come collettore. Far convergere su un unico sito/progetto tutte le idee di sviluppo/operazioni nei vari ambiti, selezionando le migliori e usandole come piattaforma programmatica per un “partito del web”. Un soggetto politicamente neutro ma, con strumenti politici e democratici, totalmente trasparenti permetta la presentazione di idee e candidature alle prossime elezioni.
    2) Organizzando con una manifestazione unica e prolungata, sulla base di quelle degli indignados, che costringa l’attuale governo alle dimissioni.
    Beh. Le idee non mancano. Spero che questo commento avrà tanti reply. E’ tempo di muoverci: per i nostri figli e tutti quelli che verranno dopo di noi. Credo che la nostra sfida, come generazione, sia quella di lasciare un paese migliore di quello che abbiamo trovato e in questo tempo dove tutto sembra scuro, abbiamo le capacità e le possiblità (anche se ancora non lo crediamo possibile) di farlo. I referendum c’è lo hanno dimostrato. Questa generazione può farlo. Adesso andiamo a convincere i nostri vecchi che siamo più bravi di loro:)

  • Signori capisco la vostra preoccupazione e la condivido.
    Tuttavia ritengo che i commenti esteri siano corretti evidenziando una naturale mancanza di pianificazione e coesione degli Italiani.
    Prendere il potere politico a livello nazionale, è solo una questione di numeri ed un buon piano di Marketing, come sa perfettamente il nostro attuale presidente del Consiglio.
    Invece cambiare l’attuale sistema Italia è ben più complesso in quanto prevede una presa di coscienza di ciò che siamo e di dove vogliamo andare.
    Se questa presa di coscienza non parte dal dibattito culturale che i giornalisti possono avviare…. come faremo mai a crescere come coscienza collettiva.
    Grazie Luca per aver lanciato il sasso nello stagno ;))

Luca De Biase

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