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Saper fare

micelli.jpgArtigiani. Per Richard Sennett sanno fare ma non sanno dire che cosa sanno fare. Gli artigiani sono portatori di una cultura sintetica della produzione che contiene insieme la conoscenza dei segreti della materia, l’idea di progettazione, la qualità estetica, la tradizione culturale, l’esperienza funzionale. L’Italia delle produzioni fondamentali per il paese ne è ricca. I settori che tengono in piedi l’economia italiana, dall’arredamento all’alimentare e all’abbigliamento, ne sono la conseguenza. E la stessa automazione nasce dalla “proceduralizzazione” industriale dei settori tradizionali. Stefano Micelli, economista a Venezia, ne racconta le strutture essenziali e propone una quantità di esempi straordinari. Ci sarebbe da essere orgogliosi di appartenere a un paese così densamente popolato di saperi. Se non fosse che in modo incredibilmente distratto ne dimentichiamo l’importanza, dando gli artigiani quasi per scontati. Ma nell’epoca della conoscenza, mentre le produzioni industriali di massa si spostano in altre aree del pianeta, in un contesto nel quale sfuggono all’Italia le forze per avere un certo controllo sulle grandi produzioni a elevato volume e basso valore aggiunto unitario, la qualità dell’artigianato e il sapere artigiano sono una risposta: volumi produttivi limitati ma elevato valore aggiunto unitario sono una possibilità reale per il paese e la sua economia, in una fase dell’economia nella quale il contenuto di idee, di immagine, di cultura, di ricerca, di estetica, fa parte integrante della generazione di valore aggiunto.

 

More about Artigiani del digitale. La ricetta italiana per creare valore con l'ITC (Information and Communication Technology)Il software è, in un certo senso, artigianato. Almeno per un certo aspetto del suo sistema produttivo. Ed è una risposta all’intuizione di Sennett: saper fare senza saper dire quello che si sa fare può essere una causa di debolezza strutturale. Ma saper scrivere in un software quello che si sa fare può essere una soluzione. E almeno nell’automazione industriale dei settori tradizionali questo è storicamente avvenuto. Ora è tempo, dice Andrea Granelli, di un salto di qualità anche da questo punto di vista. La digitalizzazione non implica la fine di ogni produzione materiale: anzi, il prodotto fisico può essere riconsiderato come il medium che trasporta la conoscenza, anche quando questa è scritta in un codice informatico. La stessa difficoltà di generare valore aggiunto nei grandi settori del web può essere in qualche misura affrontata considerando l’ipotesi di embeddare software e connessione negli oggetti artigiani più tradizionali, ripensati per la struttura di funzionalità tipiche del contesto internettizzato.
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Sennett è una lettura fondamentale per questo genere di considerazioni. Un libro già più volte segnalato qui. Un libro di intuizioni, narrativamente eccellente, che viene da un pianeta culturale diverso da quello italiano e che forse proprio per questo riesce ad accorgersi delle particolarità storiche ed economiche di un modo di produrre – e di vivere la produzione – che fa parte integrante della nostra cultura. E che proprio per questo è talvolta relegato nell’ovvio. Ma che oggi occorre recuperare alla consapevolezza di tutti. Perché contiene, nei suoi principi fondativi, una grande opportunità. 

Ma se gli artigiani sanno fare e non sanno dire quello che sanno fare, la qualità del loro lavoro può essere riconosciuta solo da chi condivida in un certo senso la loro cultura, o almeno si dedichi ad apprenderne il valore. E può essere riprodotta solo in un contesto che la racconti. Le sorgenti del sapere artigiano si estinguono in un contesto culturale privo di interesse per le sue qualità. In questo settore, in modo persino evidente, si osserva che l’impoverimento culturale è impoverimento economico. Imho.

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Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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