Iulm 2012 – 3. Connessioni
Questi sono appunti. Vanno presi come una sorta di raccolta di temi che sarebbe interessante approfondire. Possono essere visti come una bibliografia ragionevole. Oppure semplicemente come spunti di discussione per il corso:
Information technology e nuove piattaforme culturali – IULM 2012
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1. Progetto : informazione, tecnologia, piattaforme, cultura; novità e innovazione
2. Paradigmi , ecosistemi, complessità, economia della conoscenza, reti
3. Internet come tema evolutivo: le connessioni e la specie
4. Internet come tema antropologico: spazio e tempo
5. Internet come design culturale: piattaforme della vita quotidiana
6. Piattaforme culturali, nuovi media sociali, gamification: industrie culturali
7. Piattaforme culturali, educazione, ricerca, informazione: civic media
8. Prospettive : metodi per la visione ed evoluzione della tecnologia
9. Prospettive : economia della conoscenza, copyright e commons
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È possibile che le piattaforme culturali, i media, gli strumenti che organizzano l’interazione tra le persone abbiano un’influenza sul modo in cui evolve la cultura? C’è chi sostiene che internet ci rende stupidi e chi vede nella rete una grande liberazione di intelligenza…
Connessioni
Come si connettono le persone? Perché si connettono? Che cos’è l’evoluzione della cultura e che cosa c’entra con l’evoluzione della specie umana?
Forse per chi è interessato a che cosa distingue la specie umana dagli altri primati vale la pena di seguire questa lunga e divertente lezione di Robert Sapolsky, di Stanford:
Tra l’altro mostra come funziona la dopamina, il prodotto chimico che ci fa sentire gratificati: non è il momento del premio che ci gratifica ma l’aspettativa del premio; e più è incerto più aumenta la dopamina. Gli umani sono i primati che sanno anticipare il premio con la visione di più lungo termine. (Talvolta si alimenta la dopamina anche se il premio non arriverà mai nel corso della vita, ma nell’al di là…).
E tra l’altro definisce la cultura come la trasmissione non genetica di comportamenti appresi tra le generazioni e tra individui all’interno delle generazioni. Si scopre che le scimmie apprendono nuovi comportamenti e li trasmettono. Creando nuova cultura. Quello che distingue gli umani è la grandissima complessità della loro cultura. Solo noi abbiamo metafore, astrazioni simboliche, distinguiamo diversi significati in diversi contesti: il che si fa con un cervello speciale per i primati, nel quale le connessioni tra le percezioni e le sensazioni avvengono anche se le percezioni non sono legate a fatti fisici ma soltanto immaginati, pensati, simbolizzati. La percezione e l’immaginazione della stessa percezione attivano le stesse parti del cervello: nel disgusto per mangiare una cosa schifosa o per la foto di una cosa schifosa, nel dolore per una ferita sul proprio corpo e nel dolore per la ferita nel corpo di una persona amata. Sapolsky mostra come questo carattere sia manipolabile: mostrando immagini connesse a cose disgustose e mettendole accanto a persone che si vogliono criticare e cose del genere… Simboli e metafore sono potentissimi.
La generazione di cultura è una conseguenza della connessione tra le persone e ha la conseguenza che le persone si coordinano in base a conoscenze comuni (riflessi animali comuni, miti e archetipi comuni, abitudini e mentalità comuni, e così via).
L’importanza della cultura per la specie umana si deduce da una semplice osservazione: il cervello umano ha raggiunto la sua dimensione attuale – e forse la sua capacità di elaborazione attuale – circa 250mila anni fa, eppure la maggior parte delle caratteristiche che consideriamo tipicamente umane sono apparse più tardi, con una dinamica scandita da poche grandi accelerazioni e lunghi periodi di crescita più stabile.
La dinamica culturale, dice Vilayanur Ramachandran, neuroscienziato all’università di San Diego, è frutto di una complessa interazione tra esperienze individuali e cervelli individuali che si sviluppa in base a una specifica capacità dei primati di connettersi a livello cerebrale. Per questo Ramachandran è convinto che la scoperta di Giacomo Rizzolatti e della sua èquipe sia la più importante delle neuroscienze degli ultimi tempi: i neuroni specchio.
Da leggere in proposito il pezzo di Ramachandran su Edge: Mirror neurons and imitation learning as the driving force behind “the great leap forward” in human evolution.
Siamo fisiologicamente organizzati per connetterci. I neuroni specchio scoperti dall’équipe di Giacomo Rizzolatti hanno la funzione di connettere le persone (per imitazione, simulazione, dei gesti a partire dalle immagini; servono per apprendere e per comprendere… ma finisce per generare l’empatia, sentire insieme agli altri…): vediamo un gesto e lo ripetiamo nel nostro cervello, il che ci consente di comprenderlo appunto, ma in qualche misura ce lo fa rivivere empaticamente anche perché capire a che cosa quel gesto porterà, ci consente insomma di capire perché l’altro fa un certo gesto. Il cervello capisce – anche – facendo e guardando fare: questo genera l’esperienza. Ed è un fenomeno nel quale l’io e l’altro si mettono in contatto. C’è un meccanismo naturale, biologico che ci fa essere persone singole che però comprendono e vivono e si sviluppano e sopravvivono solo con gli altri.
Ecco Giacomo Rizzolatti
Treccani offre un video e una piccola biografia i Giacomo Rizzolatti:
http://www.treccani.it/webtv/videos/Int_Giacomo_Rizzolati_neuroni_specchio.html
Giacomo Rizzolatti e Corrado Sinigaglia, So quel che fai. Il cervello che agisce e i neuroni specchio, Cortina Raffaello 2006.
Giacomo Rizzolatti, Nella mente degli altri. Neuroni specchio e comportamento sociale, Zanichelli 2007.
Giacomo Rizzolatti, Neuroni specchio: un meccanismo per capire gli altri, in Il cervello. La scatola delle meraviglie (a cura di Edoardo Boncinelli e Gianvito Martino), Editrice San Raffaele BergamoScienza Libri, 2008.
Marco Iacoboni, I neuroni specchio. Come capiamo ciò che fanno gli altri, Bollati Boringhieri, 2008.
Siamo fatti per connetterci ma non per confonderci l’uno nell’altro in un grande organismo. In effetti, non ci sarebbe molto da connettere se le persone non fossero profondamente individuali. La coscienza individuale è l’altro grande mistero ma senza coscienza non ci sarebbe conoscenza, amore, dolore; non ci sarebbe invenzione, teoria, errore. La cultura non sarebbe la stessa cosa.
Antonio Damasio offre una chiara esposizione di quello che sappiamo circa la coscienza, da un punto di vista neuroscientifico. Sappiamo che perdiamo coscienza quando siamo in un sonno profondo senza sogni o sotto anestesia. Che cosa perdiamo in quei casi? Primo perdiamo la mente: il flusso di immagini – visive o uditive – che corrisponde a ciò che percepiamo della situazione in cui siamo e la la capacità di ricorrere a modelli interpretativi che ci consentono di comprenderne il senso. Secondo perdiamo l’”io”, o il “se” (self): non siamo passivi spettatori ma possediamo la nostra mente e siamo presenti nella situazione che percepiamo. Siamo coscienti se l’”io” è presente nel flusso di immagini percepito e interpretato dalla mente: una mente cosciente è una mente con un “io” che introduce una prospettiva soggettiva nella situazione percepita. La mente si costruisce come una serie di mappe neurali che si confrontano con ciò che è percepito, notano le differenze e comprendono di che immagine si tratta confrontandola con altre esperienze memorizzate. L’”io” è più complesso da comprendere. In effetti è una sorta di punto di riferimento costante che si pone come altro rispetto al flusso di immagini mentali ed è necessario per comprenderle. Come si sviluppa? Damasio ha una teoria: generiamo delle mappe neurali dell’interno del nostro corpo e le usiamo come riferimento per tutte le altre mappe (le mappe della nostra interiorità sono stabili e servono da elemento di confronto con le mappe relative ai fenomeni molto mutevoli che avvengono fuori da noi). La percezione interiore è necessaria per controllare la continuità dei processi fisiologici (se si devia troppo da quella continuità ci si ammala). La sincronia tra la regolazione del corpo nel cervello e il funzionamento del corpo è perfetta. Tutte le altre sincronie (compresa quella tra il movimento altrui e il mio cervello) sono meno perfette e il risultato è meno stabile. Il tronco cerebrale è il luogo del cervello che si occupa del monitoraggio e del controllo del funzionamento del corpo ed è connesso a tutti gli organi interni del corpo e al resto del cervello.
Il tronco a sua volta è diviso in due parti: una parte è tale che, se non funziona, il corpo è paralizzato ma la persona è cosciente, mentre l’altra parte è tale che, se non funziona, il corpo è attivo ma la persona è incosciente. Se vale quest’ultima situazione le immagini nella corteccia si possono anche formare ma non sai che ci sono quelle immagini, come non sai che ci sei tu. Se vale la prima situazione sei imprigionato nel tuo corpo che non risponde ai tuoi consapevoli pensieri. La seconda parte del tronco cerebrale genera mappe dell’interno del corpo e le interpreta in modo ricorsivo – per controllare che nulla stia cambiando dunque che non ci siano malattie in arrivo – ma generando un insieme di segnali stabili, sensazioni continue, che costituiscono per Damasio la base della costruzione dell’”io” (o del sé).
La coscienza discende dall’incontro tra quelle mappe stabili dell’interno del corpo e il film di mappe che arriva dalla corteccia. Si comprende in relazione alla differenza di durata dei fenomeni esterni e interni.
Il cervello in effetti funziona sempre analizzando differenze. Possiamo dire che conosciamo coscientemente solo confrontando costantemente ciò che dura molto (il corpo, lo spazio) e ciò che dura poco (i fatti, il tempo). Le attività che generano la coscienza (mente dotata di “io”) sarebbero dunque riferite alle funzioni complementari della mappatura (spazio) e della percezione del movimento (tempo).
In effetti, Damasio trova che l’”io” fisiologico è condiviso con molte altre specie e non è proprio solo dell’umano, mentre c’è una sorta di “io” autobiografico (derivante dall’interazione con la corteccia) capace non solo di memoria ma anche di anticipazione che è forse tipico dell’umano e ha generato conseguenze speciali (cioè miglioramento della memoria, capacità di ragionamento, immaginazione, creatività, linguaggio) dalle quali si sono sviluppate collettivamente le funzioni della cultura (religioni, giustizia, commercio, arti, scienza, tecnologia). È nella cultura che abbiamo sviluppato qualcosa che non è definito interamente dalla nostra biologia: si è sviluppato nel collettivo, nella dimensione collettiva.
Ecco Antonio Damasio che ne parla a TED (video)
Di certo, ne emerge un’idea della dinamica che si sviluppa tra l’individuo e la collettività. La coscienza è individuale, la cultura è collettiva. La specie si sviluppa se c’è equilibrio tra le due componenti. La corteccia sembrerebbe aver consentito lo sviluppo della cultura, l’elemento collettivo dell’evoluzione degli umani, mentre la coscienza individuale – che peraltro sembrerebbe meno specifica dell’umano – è effettivamente fondamentale per l’interazione tra corpo e natura.
Letture:
Nicholas Humphrey, Rosso. Uno studio sulla coscienza, Codice 2007
Gary Marcus, La nascita della mente. Come un piccolo numero di geni crea la complessità del pensiero umano, Codice 2004
Domenico Parisi, Una nuova mente, Codice 2006
Elkhonon Goldberg, La sinfonia del cervello, Ponte alle grazie 2010
Semir Zeki, Splendori e miserie del cervello, Codice 2010
Chiara Cappelletto, Neuroestetica. L’arte del cervello, Laterza 2009
Paolo Legrenzi e Carlo Umiltà, Neuro-mania. Il cervello non spiega chi siamo, Il Mulino 2009
John Brockman (editor), The Mind, Harper 2011, che comprende anche:
Nicholas Humphrey, A self worth having
http://www.edge.org/3rd_culture/humphrey04/humphrey04_index.html
Stanislas Dehaene, Signatures of Consciousness (video)
http://edge.org/3rd_culture/dehaene09/dehaene09_index.html
La lezione di Vilayanur Ramachandran a TED (video):
http://www.ted.com/talks/vilayanur_ramachandran_on_your_mind.html
Ogni area del cervello è connessa con ogni altra area del cervello. Tutto il pensiero è una caotica interazione di ogni area con ogni altra area. Si formano dei pattern con l’esperienza e si formano delle aree specializzate anche per via biologica, naturalmente. E le aree specializzate evolvono lentamente, mentre i pattern formati dall’esperienza evolvono più velocemente: l’adattamento è solido ed efficace grazie a questa doppia interazione. In alcuni casi però si mescolano di più: quando le percezioni sensoriali si confondono e un suono ha un colore, per esempio, c’è una disfunzione molto speciale che si chiama “sinestesia”. C’è una probabilità di sinestesia diverse volte più grande negli artisti. E non è un caso, dice Ramachandran, visto che sono i maestri delle metafore. Se le aree del cervello si mescolano ci sono più probabilità sia di confusione che di creazione. Lo stesso avviene nell’insieme dei cervelli di una collettività che in qualche misura fa un’esperienza in comune e si adatta insieme alle circostanze, evolvendo per via di cultura. E anche nella cultura le diversità aumentano la probabilità di confusione e di creazione.
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