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Domenica, 17 settembre 2006
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Commenti: coraggio al Sole
Bell'articolo, coraggioso, in prima pagina oggi sul Sole 24 Ore (il giornale per cui lavoro). E' di Giangiacomo Nardozzi, un ottimo economista che tra l'altro ho ammirato come mio professore alla Bocconi. L'articolo si intitola significativamente "Un capitalismo fragile". Parla ovviamente dei problemi che i condottieri del capitalismo italiano hanno sempre incontrato non disponendo di capitali ma volendo comunque controllare le aziende in modo proprietario. E parla della Telecom Italia:
A me sembra che la morale di questa storia sia che, se vogliamo mantenere grandi realtà industriali nel nostro paese, dobbiamo puntare più sulla nazionalità della gestione che su quella della proprietà. Ciò che conta è la nostra capacità di produrre progetti industriali validi perché orientati allo sviluppo delle imprese e non segnati dalla soluzione del problemi del controllante. Non mancano bravi manager italiani in grado di concepire e gestire buoni progetti e di proporli al mercato, attirando non tanto gli scarsi capitali dei capitalisti nostrani quanto quelli abbondanti degli investitori di tutto il mondo. Mi sembra molto interessante. Il problema del controllo azionario in Italia sovrasta quello della qualità della gestione. E, quando il controllo azionario è debole, come in molti casi nelle grandi aziende, diventa un vincolo per la progettazione del business. I manager italiani che lavorano in Logitech, Cisco, Intel e molte altre realtà internazionali, hanno successo e riescono a realizzare progetti straordinari. Se facessimo lo stesso con le aziende italiane attireremmo capitali dall'estero che cercano non il controllo ma la redditività. Non è un piano d'azione senza difetti, chiaramente. Ma visto che il capitalismo familiare riesce fino a che le aziende sono piccole, mentre quando sono grandi tende a perdere di qualità, si dovrebbe prendere in considerazione.
Il caso Wind, certo, non è ancora un caso sul quale si possano tirare delle conclusioni: l'entrata dei soci internazionali e la permanenza di brillanti manager italiani non ha ancora provocato conseguenze particolarmente visibili. Il caso Vodafone Italia è però stato un successo.
Al contrario, le famiglie che gestiscono in modo padronale e poi crescono fino a diventare proprietarie di grandi aziende, o tendono a indebitarsi per allargarsi e mantenere il controllo, o tendono ad affidarsi alle attività che necessitano dell'appoggio dello stato. Il primo caso è quello della Ferruzzi. Il secondo è quello storico degli Agnelli, di Tronchetti (Telecom), dei Benetton (Autostrade).
Vogliamo regole? Immaginiamo regole che garantiscano un afflusso di capitali dall'estero sui nostri progetti e nello stesso tempo indirizzino le aziende finanziate da quei capitali verso progetti che abbiano una forte capacità di generare capitale sociale e soluzioni innovative in Italia. La fantasia per inventare un sistema del genere non ci dovrebbe mancare. Grazie Nardozzi.
(A proposito: Nardozzi è uno studioso dei classici. E mi aveva suggerito di leggere di come Adam Smith sostenga che lo stato deve occuparsi poco di economia, ma soprattutto perché altrimenti rischia di favorire la nascita di oligarchie inefficienti...)
ps. Accanto al finale dell'articolo di Nardozzi, da non perdere una ricostruzione di Giuseppe Oddo sui debiti di Telecom Italia: sono sostenibili, dice Oddo, ma penalizzano la crescita.
telecomunicazioni, televisione, regolamentazione
11:58:13 AM
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