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Commento costruttivo sulla raffica di misure relative a internet prese in questi giorni in Italia

di Paolo Barberis e Luca De Biase

La scorsa settimana sono state prese o proposte alcune decisioni che hanno conseguenze importanti sull’economia italiana che si confronta con internet. Hanno l’obiettivo di risolvere problemi veri. Ma hanno generato una discussione che induce a riflettere sulla possibilità che le soluzioni trovate possano rivelarsi controproducenti. Impossibile ricordare qui tutti i contributi, generati dal lavoro di associazioni come ItaliaStartup, avvocati come Guido Scorza e Fulvio Sarzana, giornali internazionali come Forbes, opinionisti come Jeremy Rifkin e Gianni Riotta, e così via. Questa nota è stata scritta da Paolo Barberis e me, nel tentativo di sintetizzare con piglio costruttivo le critiche e le proposte che possono essere portate all’attenzione di chi deve decidere.

Elusione fiscale delle grandi piattaforme

Le grandi piattaforme che vendono servizi online usano il meccanismo della tassazione europea in modo da eludere la gran parte delle tasse che dovrebbero pagare. Anche gli americani lamentano che aziende come Apple e Google pagano poche tasse nel loro paese. Queste aziende si comportano come multinazionali extraterritoriali che sfruttano ogni norma per ridurre il loro carico fiscale. Il problema va affrontato a livello internazionale.

Istituto Bruno Leoni ricorda: «Lo scorso 22 ottobre 2013 la Commissione Europea ha creato un “Gruppo di Esperti di Alto Livello” sulla materia della tassazione della cosiddetta economia digitale. Lo scopo di questo gruppo sarà quello di esaminare le possibili soluzioni per regimi di tassazione dedicati al settore dell’economia digitale in Europa, con attenzione sia ai benefici che ai rischi di diversi approcci. Il Consiglio Europeo ha già annunciato che il tema della fiscalità nel mondo digitale sarà al centro dell’attenzione nella sessione di Dicembre. Nel gennaio 2012 la Commissione Europea ha avviato un percorso per la semplificazione degli adempimenti IVA transfrontalieri per il commercio elettronico e i servizi di telecomunicazione entro il 2015. L’Italia avrà la Presidenza del semestre europeo a partire da luglio 2014 e potrebbe affrontare il tema della tassazione nell’era globale in quella sede, avendo peraltro a disposizione adeguati strumenti giuridici. La strada da seguire è quella di una maggiore semplificazione su scala europea, non certo la creazione di ulteriori fardelli fiscali e burocratici per le imprese, di ogni dimensione, che intendano sfruttare i benefici dell’economia digitale».

Ma invece di sincronizzarsi con l’Europa, l’Italia vuole una norma che impone alle aziende di comprare servizi online solo da altre aziende che abbiano una partita iva italiana. Non è detto che una norma del genere possa essere ammessa dall’Europa. Ma se lo fosse sarebbe un vantaggio? Come minimo occorre farsi delle domande

Se una norma del genere fosse adottata da tutti i paesi il risultato sarebbe vantaggioso o svantaggioso per un paese esportatore come l’Italia? Si dirà che non esportiamo molto online. Ma se vogliamo svilupparci in futuro possiamo pensare di non esportare online? O vendere più turismo online? O sviluppare nostre piattaforme verticali per vendere servizi italiani online, dalla musica ai film, dall’informazione ai libri, dai servizi per la cartografia alla pubblicità sulle nostre piattaforme editoriali, e così via? Se oggi non siamo sviluppati online vogliamo rendere più difficile diventarlo?

Altre domande. Se una norma del genere fosse adottata solo in Italia, riguarderebbe anche le nostre startup che vogliono farsi conoscere all’estero o in nostri esportatori che vogliono farsi pubblicità sul sito del New York Times o sul motore di ricerca più usato in Cina o in Russia e che certo non apriranno partite iva italiane? Insomma: se anche l’Europa la concedesse, sarebbe una norma conveniente?

Per ottenere davvero un obiettivo come quello dichiarato, senza effetti collaterali peggiori del risultato perseguito, la strada è una decisione internazionale, almeno europea.

In effetti, il problema non può essere sottovalutato, ma va posto con esattezza. Esistono imprese sovranazionali che riescono a usare i diversi sistemi fiscali in modo tale che la concorrenza risulta distorta. Non si tratta di “punire” quelle imprese per l’uso legale che fanno delle opportunità offerte dai diversi sistemi fiscali. Si tratta di correggere le conseguenze distorsive della forma assunta dalla concorrenza tra i sistemi fiscali. Una mossa unilaterale non corregge la situazione che si è venuta a creare, ma anzi rischia di generare problemi peggiori di quello che spera di risolvere. Occorre affrontare il problema per quello che è: un problema di livello europeo. L’Italia si può e si deve muovere per sollecitare l’Europa in questa direzione.

Copyright

La salvaguardia del copyright attaccato da alcuni comportamenti resi più facili da internet senza intaccare la capacità innovativa della rete è un tema che l’Europa ha deciso di affrontare nel suo complesso. E ha lanciato anche recentemente una grande consultazione continentale sul tema. L’Italia intanto ha deciso di fare da sola.

L’Agcom tenta di rafforzare la sua capacità di enforcement delle leggi a tutela del copyright. E si dota di strumenti per intervenire su richiesta di chi pensa che il suo diritto d’autore sia stato violato bloccando i siti accusati di violarlo. Anche se l’Europa lasciasse correre anche questo, si otterrebbe il risultato voluto?

A parte le controversie giuridiche, la norma mette in discussione le basi stesse del funzionamento della rete. Per esempio, la norma prevede che possa essere bloccato non solo chi copia i contenuti altrui, ma anche chi li linka. Questo è uno stravolgimento della logica di internet. Ma abbatte anche la rilevanza delle pagine web dei detentori dei diritti d’autore. Che peraltro tentano in tutti i modi di convincere il pubblico a linkare su Twitter e Facebook i loro prodotti per farli pubblicizzare sui social network. Dimostrando di tenere al fatto che il pubblico li linki. Ma ora potranno controllare chi ha diritto di linkarli e chi no.

Intanto, sta per aumentare l’aliquota dell’equo compenso che va alla Siae ogni volta che un consumatore compra un prodotto elettronico contenente una memoria. L’equo compenso non è molto equo di per se visto che lo paga anche chi non si sogna di usare la memoria del computer o del telefono per conservare opere soggette a diritto d’autore che si è procurato illegalmente, lo paga anche chi usa la sua memoria per conservare le foto di famiglia e la musica che ha comprato. Nel frattempo, gli amanti della musica che non hanno molta voglia di pagarla ormai non la registrano più nella loro memoria: si limitano a sentira in streaming. E questo rende ancora più iniquo l’equo compenso.

Infine, si è deciso di favorire l’editoria con la possibilità di scaricare entro certi limiti dalle tasse il 19% del prezzo dei libri acquistati, purché siano di carta e non in versione digitale.

Con l’obiettivo giustissimo di difendere gli editori, però, se ne difendono soltanto i business più antichi senza aiutare in nessun modo la loro vera modernizzazione.

Obiettivi e coerenza

Il governo ha detto e ripetuto che crede nella rete e che internet può servire a obiettivi come:
1. modernizzare la pubblica amministrazione
2. accelerare la crescita e l’occupazione
3. favorire la nascita di nuove imprese innovative
4. attirare e trattenere talenti
5. attirare investimenti stranieri
6. aumentare le esportazioni
7. migliorare la qualità della vita dei cittadini

Questi obiettivi si allontanano con le decisioni o le proposte di decisione che sono state annunciate la scorsa settimana? C’è chi risponde affermativamente. Perché riducono la libertà di manovra delle startup e dei nostri esportatori. Abbattono la tranquillità degli utenti della rete che non sanno in che modo possono usarla senza infrangere la legge. Rendono instabile la legislazione, in attesa delle reazioni europee, allontanando i possibili investitori. Peggiorano la qualià della vita dei cittadini. Salvaguardano modelli di business superati e non incentivano l’innovazione. Queste considerazioni sono state prese in adeguata considerazione la settimana scorsa?

Ecosistema

Le leggi che riguardano internet devono tener conto di tutti i loro effetti e non solo quelli diretti. Perché internet è come l’ecosistema nel quale tutti gli elementi sono collegati con tutti gli altri e le decisioni in un settore hanno effetti collaterali spesso controintuitivi.

Aumentare le tasse sull’importazione di servizi online, rischia di mettere in difficoltà i nostri esportatori. Bloccare l’uso dei link rischia di rendere meno rilevanti le opere soggette a copyright. L’instabilità normativa e la diversità della legge italiana rispetto agli altri paesi riduce la tranquillità di chi dovrebbe decidere di investire in Italia.

I problemi come l’elusione fiscale e la pirateria sono molto gravi e vanno risolti. Ma non possono essere risolti da un solo paese, per giunta un paese arretrato. Vanno affrontati a livello almeno europeo.

Qualsiasi norma che riguardi internet dovrebbe essere pensata come si pensa una regola che riguarda l’ambiente. E come per l’ecosistema si fa la “valutazione di impatto ambientale”, per le norme su internet si dovrebbe prevedere una “valutazione di impatto digitale”. Cioè rispondere a domande di questo tipo:
1. persegue un obiettivo che si può raggiungere cambiando la regola solo in Italia oppure ha una dimensione internazionale?
2. le sue conseguenze dirette sono più grandi o più piccole dei suoi effetti collaterali?
3. le sue conseguenze dirette vanno nella stessa direzione dei suoi effetti collaterali?
4. tiene conto di tutti gli stakeholder o solo di quelli che si fanno sentire con voce più grossa?
5. migliora la vita dei cittadini, rende più chiaro il diritto, rende più difficile l’accesso e lo scambio delle conoscenze?

E’ la logica della governance multistakeholder che caratterizza le migliori decisioni che riguardano internet. E che può essere implementata con un buon sistema di consultazioni, oltre che ricorrendo a comitati di esperti indipendenti.

Se tutto questo è vero, ne consegue che le decisioni prese la scorsa settimana vanno sottoposte a questo processo prima di essere implementate.

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  • Dimenticavo di dire che recentemente ho saputo dell’esistenza di questo corso sul copyright della Harvard Law School
    http://copyx.org
    Non mi è chiaro quali siano i 10 paesi satelliti, forse ci sono più informazioni su questa pagina
    http://copyx.org/faculty/
    [per inciso: forse all’Italia interesserebbe partecipare? La butto lì, ovviamente: io non ho alcun titolo, né conoscenza, per avanzare ipotesi, né per parlare a questo proposito.]
    Venendo al corso: con la premessa che la legislazione presa in esame è, ovviamente, quella statunitense, forse le parti relative alla riforma del diritto d’autore potrebbero essere d’interesse generale, ivi incluso per i nostri legislatori. In più sarebbe un’ ottima occasione per esercitare l’inglese (sulle cui conoscenze circolanti in parlamento a volte c’è da stendere una pietosa tela di Penelope, ché il velo non basta).

  • Costruttivo, però lei criticando i provvedimenti del governo non fa proposte definite, elenca solo dei criteri che la legislazione dovrebbe soddisfare. Inoltre secondo lei è realistico pensare che l’Europa trovi una soluzione nel 2015, quando l’Irlanda campa di elusione fiscale. Intanto si rinunciano a delle entrate fiscali preziose per un paese con un debito pubblico così tragico. Perché le altre imprese arrivano a pagare il 60% in tasse e il mondo digitale vuole sostanzialmente godere di uno statuto esentasse e va bene così? E veramente è così difficile per un’impresa avere una partita IVA italiana? Non si potrebbe allora rendere più semplice la procedura per tenere una partita italiana, in modo che un’impresa possa farlo online senza costi elevati di commercialista con una modulistica anche in lingua straniera?

  • In America, alla fine di un articolo come questo, ci sarebbe un disclaimer indicante le società di Barberis o del suo fondo o …. per le quali si può ravvisare conflitto d’interessi. Quali sono?

  • Riflessivo, rende giustizia alla complessità della questione, mostra la fatica che ci vuole per raggiungere una conclusione su un tema complesso. Uno strumento utile per tutti noi migranti digitali. Grazie

  • Il problema è che le leggi vengono redatte da gente che non si informa e non si preoccupa di farsi assistere.
    Al di là dei pesantissimi dubbi di legalità, cito per tutti il post dell’Avv. Scorza su IlFattoQuotidiano.
    http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/12/18/la-web-tax-diventa-legge-si-chiamera-spot-tax/818084/

    La tassa è per giunta facilmente aggirabile e tecnicamente non applicabile, non ha senso il concetto di territorialità in un sistema dove la visualizzazione degli annunci pubblicitari è dato dalla profilazione dell’utente.

  • Luca,
    grazie per avere strutturato questo contributo analitico sul tema, che condivido a pieno sopratutto nello spirito di non ridursi a un commento superficiale (sarebbe troppo facile e pure corretto nella sintesi).
    2 suggerimenti:
    – l’attuale versione è lunga e rischia di perdere lettori: sarebbe ideale avere una “pillola” con i concetti essenziali, che rimandi al commento integrale
    – c’è un continuo rimando alla necessità di raccordarsi almeno all’Europa, e potrebbe essere banalizzato con facili battute (es. il “carrozzone Europa”): sarebbe meglio suggerire di rifarsi alle best practices, europee e non.

  • Il problema dell’evasione e dell’elusione delle tecno-corporation non è solo europeo ma è anche all’attenzione della politica americana che deve parare due problemi: la volontà di ogni stato federato di far pagare le imposte sulle vendite nello stato di residenza del compratore e l’evasione delle imposte sul reddito che sono di competenza federale.
    L’accordo perciò non può che essere che internazionale.
    C’è poi un altro problema: forse alcuni business delle tecno-corporation stanno in piedi solo grazie all’elusione e all’evasione.

    • Hai ragione Roberto, ma per raggiungere un accordo internazionale su questo, dovremmo aspettare almeno…. di vedere prima il protocollo di Kyoto (ambiente) adottato al 100% … o la Pace nel Mondo.
      Per me sarà la somma delle singole “iniziative nazionali scomode” a portare tutti verso un taccordo sovvranazionale, da infilare in qualche agenda: trattandosi di soldi da incassare si trovera presto qualche posticino.

  • Internet è ubiquo, liquido, non può circorscriversi per definizione. A meno che non si pensi di centralizzare la politica di tassazione in “one world-one tax” (ma cosi facendo si distruggerà la competizione vero motore dello sviluppo) vincerà sempre il Paese che permetterà una tassazione minore, ma questo sarà probabilmente anche il miglior Paese perchè significherà che ha una burocrazia minima. La via è ridurre la burocrazia e lo sperpero, evitare di tassare qualsiasi attività su internet ma piuttosto ridurre le tasse già esistenti per favorire l’imprenditoria e la competizione

  • […] Luca De Biase, “Commento costruttivo sulla raffica di misure relative a internet prese in ques…: Le grandi piattaforme che vendono servizi online usano il meccanismo della tassazione europea in modo da eludere la gran parte delle tasse che dovrebbero pagare. Anche gli americani lamentano che aziende come Apple e Google pagano poche tasse nel loro paese. Queste aziende si comportano come multinazionali extraterritoriali che sfruttano ogni norma per ridurre il loro carico fiscale. Il problema va affrontato a livello internazionale. […]

  • Quello che è interessante notare, non tanto da un punto di vista politico, fiscale ed economico, è la amoralità da parte di chi appoggia le pratiche delle grandi corporation, che oltre a creare per esse un favorevole clima mafioso, si creano anche le condizioni previste da Willian Gibson e Frederick Pohl dove, appunto, grandi corporation, esaurito ogni mezzo lecito per la concorrenza, cominceranno a utilizzare i metodi sporchi tipici della delinquenza organizzata, fino ad arrivare all’omicidio.
    E come ha fatto di recente rilevare Stiglitz in “The price of inequaility”, queste aziende, evadendo il fisco americano, non contribuiscono al progresso del paese dei cui investimenti in ricerca scientifica hanno invece beneficiato per costruire le loro fortune.

  • Noi stiamo cercando di diffondere e valorizzare l’Italia esportandola nelle sue destinazioni più autentiche e genuine, facendo turismo incoming e attirando i viaggiatori stranieri. E’ fondamentale avere una legislazione che non sia protezionistica, ma che stimoli una positiva competizione punendo solo i comportamenti distorsivi.
    Come per ogni novità, promulgare norme che preservano lo stato di fatto senza porsi il problema di un’evoluzione tecnologica e sociale è retrogrado e semplicistico (incredibile tutelare solo i libri scritti, e lo dice una persona che ama Farenheit 451 più di ogni altro libro).

    • Discorso molto alto, però io non tirerei troppo in ballo la specificità del mondo di internet. La questione mi pare differente, anche se il mondo digitale merita una riflessione a parte: se un’azienda -digitale o meno- paga lavoratori che stanno in Italia, le merci che vende sono italiane e lo stoccaggio è in Italia, perché deve pagare le tasse in Irlanda? Digitale o meno.

  • Forse basterebbe far pagare con una specie di ritenuta da parte di chi acquista.
    Se un azienda Italiana compra allora chi incassa deve pagare le tasse su quell’intrito in Italia.
    In questo modo almeno gli investimenti fatti da un paese avrebbero una ricaduta positiva sul paese stesso sia per import che per export.
    Sto sbagliando qualcosa?

  • Il commento è chiaro, ma, onestamente, non mi pare aggiunga alcun elemento significativo alla discussione.

  • […] Claudio Giua chiede giustamente di riprendere il discorso sull’elusione fiscale delle grandi piattaforme come Google, Apple e compagnia. Sottolinea come recentemente ne abbia parlato anche il FT. E chiama in causa anche questo blog, probabilmente per il post: Commento costruttivo sulla raffica di misure relative a internet prese in questi giorni in Italia. […]

Luca De Biase

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