Un frame, nel linguaggio degli studiosi dei media, è un quadro interpretativo forte della realtà. Tanto forte che una grande parte della popolazione lo condivide. Un frame diventa un modo di vedere il mondo che accomuna molte persone. La sua conseguenza è che tutte le notizie che avvalorano il frame diventano più importanti perché appaiono più significative, in quanto si riferiscono al contesto che tanti condividono. Mentre tutte le notizie che non avvalorano il frame diventano meno rilevanti se non sono addirittura oscurate.
Un frame di successo è basato sui fatti. Ma ne dà spesso una prospettiva parziale. E diminuisce l’importanza di altri fatti che consentirebbero di vedere altri fenomeni o di modificare la lettura della realtà in modo da comprenderne i risvolti più complessi.
La “casta” è diventato un frame di enorme successo in Italia. È basato su una quantità di fatti davvero disarmante. I politici che si comportano come se appartenessero a una casta e che approfittano della loro posizione per fare i loro comodi senza temere davvero di essere perseguiti sono in un numero imbarazzante. I piccoli e grandi poteri descritti dal libro seminale di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, del 2007 sono spesso ancora dove erano quando il libro è stato scritto. E anzi molto spesso le malversazioni di politici emerse dopo quella data si sono dimostrate sfavorevolmente sorprendenti anche per i lettori più entusiasti di quel libro.
Il fatto che una delle regioni più colpite dalla casta, la Lombardia, non abbia cambiato il suo voto alle ultime elezioni può essere un segnale sul quale riflettere.
Nonostante il successo del libro sulla casta sia stato enorme e abbia davvero generato un frame fortissimo, la popolazione lombarda non ha cambiato il suo voto altrettanto sostanzialmente. In genere, in Italia c’è stato in effetti un terremoto, con il M5S e tutto il resto. Ma non è stato sufficiente. Si può dire che, per ora, la casta è ancora dove era nel 2007. Probabilmente anche perché la popolazione non si è ribellata abbastanza alla casta.
Il frame della casta, insomma, riesce a unire tutti nella critica ai politici: ma da questa critica non è ancora emerso un superamento della casta.
Un frame non è la premessa di un cambiamento. È, di per se, soltanto un modo di conformare il pensiero collettivo a un’interpretazione. Nel caso della casta rischia di contaminare ogni politico con l’idea che appartenga alla casta. Rischia di ridurre le probabilità dell’accesso di brave e democratiche persone alla politica per il timore di dover poi fronteggiare il frame della casta: “sei diventato potente dunque sei entrato nella casta”. Rischia di ridurre al banale giudizio del tipo “sono tutti uguali” una lettura della complessa realtà politica. Finisce, probabilmente, per abbattere gli incentivi a un comportamento lineare e corretto, democratico e generoso, da parte dei politici, perché finché dura il frame non riescono a scrollarsi di dosso il sospetto che comunque facciano parte della casta. Come si può incentivare una buona politica se il frame continua a funzionare come collante interpretativo principale di ogni cosa abbia a che fare con i politici?
Forse è tempo di cambiare frame. La casta è un modo di dire. Che sintetizza una serie di fatti impressionante e inaccettabile. Ma che è troppo statico nella sua interpretazione. Non dà conto del cambiamento. Non aiuta nessun politico serio e non riesce comunque a eliminare i politici poco seri, per non dire francamente fuori legge. La casta è stato un frame di enorme successo. Ma non ha più molto da dire di costruttivo, mentre rischia di avere ancora molto da dire di distruttivo.
Spero che da chi è arrivata la parola che ha costruito il frame o da altri arrivi una nuova parola che serva da incentivo a fare seriamente politica. La casta è da buttare. Come realtà politica. E forse ormai anche come parola.
Forse, addirittura, dovremo cominciare a ragionare fuori dai frame. E ripartire con una prospettiva un po’ più articolata. Ma tale da dare risposte, aprire porte e creare incentivi a un comportamento più civile.
La classe politica è solo,la punta dell’iceberg,quella più esposta e plateale,fatta di nomi e cognomi,facilmente sdoganabili e svergognabili,come figli ingrati di partito,quindi messi in gabbia e puniti in modo esemplare..mentre il resto della compagnia,continua vergognosamente la vita di sempre…La punta della piramide,sostenuta da una fitta quantità di “pilastri “in banche,tribunali,caserme e giornali…tutti ben organizzati e pronti a sostenersi e a sostenere,una compagine di governanti,che hanno come priorità la propria sopravvivenza. privilegiata…No,non chiamiamola casta,chiamiamola ,senza pensare solo alla malavita organizzata…perchè malavita è fondamentalmente,usare ed abusare del proprio ruolo istituzionale o di giudice,avvocato,banchiere,giornalista,ecc.per il proprio egoistico benessere,come persona e come categoria.
Ne scrisse qui, due anni fa e in tempi non sospetti, Giuliano Santoro http://suduepiedi.net/2011/11/perche-il-discorso-su-la-casta-e-di-destra/
[…] suo post “butta la casta ” Luca De Biase constata che il concetto di casta ha avuto uno straordinario successo in […]
[…] sembrare privo di connessione con i momenti che stiamo vivendo. Ed è un ragionamento che parte da un articolo in cui Luca De Biase parla del concetto di frame attraverso l’immagine della […]
Come molti neologismi e le semplificazioni anche LA CASTA ha avuto il suo tempo. Ormai direi proprio che pè desueta, visto l’insucesso reale, come te dicevi.
[…] Il rancore è diventato così risorsa politica. E l’alternanza dei risultati elettorali – che hanno per 25 anni penalizzato chi aveva vinto la volta prima – è diventata una sorta di regola. Prima che gli elettori cominciassero a disertare in massa le urne dimostrando così che ormai credono che la politica non sia rilevante per le loro vite. A parziale conferma che, alla fine, hanno deciso persino che la politica non merita tutta l’attenzione che le riservano i suoi critici e i suoi protagonisti, insieme ai media che la sopravvalutano. Le colpe della politica sono tutte lì da vedere. Ma limitarsi a descriverle all’infinito non basta proprio più. E anzi finisce col dinsincentivare l’afflusso di bravi potenziali amministratori che potrebbero anche interessarsi alla politica e rinnovarla (se ne parlava nel post “butta la casta“). […]