Ci troviamo di fronte a una crisi profonda, non congiunturale, dalla quale usciremo diversi.
Questa fase si può attraversare in una furibonda lotta di tutti contro tutti oppure con una sorta di patto sociale rinnovato. È chiaro come il sole che gli italiani stanno dimostrando di cercare la seconda soluzione e hanno paura che prevarrà la prima. Lo dimostra, appunto, la calma triste con la quale hanno accettato l’aumento delle tasse e il cambiamento di sistema nelle pensioni; e l’ansia sorda con la quale affrontano il tema della nuova normativa sul lavoro che prevede per le imprese la libertà di licenziare per motivi economici anche ingiustificati.
Per riuscire nella soluzione orientata a un nuovo patto sociale occorre coltivare i motivi per cui fidarsi gli uni degli altri e ritenere probabile un miglioramento della situazione economica generale. Per esempio, se si sapesse e si dimostrasse che c’è una grande quantità di aziende internazionali disponibili a investire in Italia e una grande quantità di aziende innovative pronte a nascere in Italia purché il mercato del lavoro sia regolato in modo più simile a quello che avviene negli altri paesi sviluppati, il tema dei licenziamenti rientrerebbe in un ragionamento più articolato nel quale a fronte del rischio di perdere il posto di lavoro ci sarebbe l’opportunità di trovarne un altro. (Monti in Cina ha tentato di dire anche questo).
Insomma, il nuovo patto sociale discende da una prospettiva condivisa che offre speranze per tutti, oltre che sacrifici distribuiti in modo equo. È una possibilità che va costuita con attenzione.
Per cadere nella trappola del tutti contro tutti invece basta lasciare le cose come stanno. Chiunque sia al corrente del fatto che una grande quantità di imprenditori evade le tasse che gravano invece in modo inequivocabile sui loro dipendenti (i dati di ieri non possono essere dimenticati) non può fidarsi del fatto che quegli stessi imprenditori non approfitteranno della libertà di licenziare individualmente senza giusta causa e senza una dimostrata motivazione economica per fare strettamente gli affari loro. D’altra parte, le dichiarazioni anche recenti di importanti esponenti del mondo imprenditoriale sulla presenza in azienda di dipendenti che non si guadagnano lo stipendio lavorando e che approfittano delle garanzie offerte dal contratto per non far nulla dimostra che anche tra gli imprenditori si pensa che la riforma potrà sanare situazioni non legate all’attuale crisi economica ma a un lungo braccio di ferro tra categorie.
La fiducia tra le categorie insomma va conquistata: non è, purtroppo, un dato di fatto.
E dunque il modo con il quale si presenta la riforma del mercato del lavoro deve tener conto dell’esigenza di costruire un nuovo patto sociale senza sollecitare in nessun modo il dubbio che una categoria stia prevalendo sull’altra.
Questo si può forse ottenere innanzitutto dimostrando che una riforma delle regole del mercato del lavoro aumenta e non diminuisce l’occupazione: se chi può essere licenziato sa che in quel caso potrà trovare facilmente un nuovo posto di lavoro avrà minori timori per il suo futuro; se una fila di aziende internazionali aprisse i battenti in Italia e offrisse lavoro, se nuove imprese vere e intelligenti potessero nascere in Italia più facilmente generando nuovi posti di lavoro, allora il licenziamento non sarebbe lo spettro che è in un paese che sembra invece in difficoltà proprio nella creazione di nuove opportunità di occupazione. E la maggiore flessibilità sarebbe vista semplicemente come un passaggio di modernizzazione. Fino a che non sarà questa la percezione, non ci si può stupire che la questione dell’articolo 18 generi una grande ansia.
In secondo luogo, dovrebbe emergere una distinzione all’interno delle categorie che non le compatti sui pensieri peggiori ma su quelli migliori. Le categorie non si fidano le une delle altre e hanno putroppo alcune
ragioni per non fidarsi: la realtà o la percezione dicono chiaramente
che esistono lavoratori che approfittano delle garanzie e che esistono
imprenditori che rubano la loro ricchezza alla società non pagando le
tasse dovute. Ma è anche chiaro che la maggior parte dei lavoratori si guadagnano onestamente il pane e molti fanno molto di più del richiesto. Come è chiaro che la maggior parte delle imprese e degli imprenditori sono onesti e pagano le tasse. La lotta all’evasione e il disprezzo contro i furbi devono essere un mantra fondamentale che dimostri come non sia giusto dividere il paese in categorie in lotta, ma sia possibile e ragionevole unirlo in nome dei comuni interessi degli onesti. La lotta all’evasione e alla disonestà deve essere più forte e priva di ambiguità. Alcune delle riforme simboliche introdotte durante il nostro passato da incubo e che dichiarano il contrario vanno corrette: come la depenalizzazione del falso in bilancio.
In terzo luogo, la nuova flessibilità in uscita non può essere presentata ambiguamente: se sembra in qualche modo orientata ad avvantaggiare solo una categoria contro l’altra genera inevitabilmente una conflittualità. Non si riesce a capire per quale motivo un licenziamento non giustificato da motivi economici dovrebbe essere ammesso e previsto dalla nuova normativa. La richiesta del modello tedesco ha spiazzato la rigidità del piano governativo: se non ci sono motivi giustificati dalle condizioni economiche dell’azienda per licenziare una persona dovrebbe essere previsto il reitegro. Sembra solo buon senso. Altrimenti la lettera della legge significherebbe che si può licenziare anche a caso e senza motivo, rendendo i lavoratori privi di alcun diritto, ma meri dipendenti dei voleri e dei capricci dei capi: non si vede perché dichiarare questo nella legge. Casomai il timore può essere quello di attribuire troppo potere ai magistrati che devono valutare se i motivi economici esistano o no: questo è un problema di tempi, ma probabilmente è un problema minore e affrontabile, perché comunque unisce tutti di fronte a un’entità terza e non divide in categorie contrapposte.
Le ambiguità purtroppo non spariranno. E ci dovremo abituare ad aiutarci da soli. Anche nell’elaborazione di una visione ragionevole. Di fronte alla crisi occorre un’informazione di mutuo soccorso che aiuti a superare i pregiudizi. E a decidere in nome di tutti. Comprendendo che il modo con il quale si spiegano le decisioni è parte integrante del loro significato percepito e dunque della loro efficacia.
Altrimenti prevalgono i pensieri automatici. E quelli, oggi, in Italia, conducono alla conflittualità. Sarebbe un peccato perché, oggi, in Italia, le persone offrono consenso a chi si dimostra al di sopra delle parti e offre strade per superare gli inutili conflitti e per affrontare le difficoltà con uno spirito di solidarietà del quale le persone avvertono estremo bisogno.
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