Luca De Biase
An Italian journalist writes about what's happening in his funny country:
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Venerdì, 5 dicembre 2008
 

Piano piano Telecom

Il piano Telecom Italia è un «piano piano» per quanto riguarda l'innovazione e un insieme di novemila decisioni drammatiche per quanto riguarda l'occupazione. Non spiega come verranno selezionate le persone in esubero né come verranno sviluppate i famosi business «adiacenti». Di certo è scritto per tranquillizzare i banchieri e i finanzieri preoccupati per i loro soldi in questo periodo più che mai e serve a dire che i debiti verranno pagati. Ma non può essere soddisfacente per chi vuole vedere come l'ecosistema dell'innovazione italiano sarà sostenuto dalla principale compagnia telefonica italiana.

La precedente gestione della Telecom era forse più amata dai finanzieri (che pagavano il doppio per le azioni della compagnia di quanto non paghino oggi). Ma era più discussa e criticata  di quella attuale da tutti gli altri: regolamentatori, magistrati, concorrenti, opinionisti, informatori, persino utenti. Almeno a giudicare da quello che si legge in giro.

Come si spiega? Migliori pubbliche relazioni o differenze più sostanziali?

Il fatto è che questa gestione ha progressivamente aperto il suo discorso all'innovazione generata al di fuori del suo perimetro aziendale. Ha parlato di open source, di servizio all'ecosistema, di rispetto per gli innovatori e per le innovazioni che non sono fatte dalla compagnia. Ha parlato e accettato accordi con le autorità e i concorrenti riducendo gli attriti. Ha parlato bene. In questo modo, ha anche generato aspettative significative. Che si possono verificare solo in un tempo piuttosto lungo. Anche per questo, in attesa di vedere se quelle aspettative saranno soddisfatte, si guarda a quello che viene fatto e detto con un misto di preoccupazione (motivata dalle decisioni immediate) e di speranza (motivata dall'impostazione culturale proposta). Un giudizio sospeso.

Perché le aspettative elevate portano, potenzialmente, a grandi soddisfazioni o a grandi delusioni. Non è ancora possibile sapere se quelle che si verificheranno saranno le prime o le seconde. Nel frattempo si segue con attenzione. Sia quello che viene fatto in Telecom. Sia quello che viene detto.


6:10:35 PM    comment [];

Processo alle intenzioni regolatorie

Si legge, ci si pensa, se ne scrive: ma manca la materia prima. L'idea che il nostro governo possa proporre una «regolamentazione di internet» che possa essere discussa al G8 e serva a tutto il mondo è stata accennata ma senza fornire alcun dettaglio. Questo ha dato modo di fare emergere una bellissima discussione. Segnalo per esempio Stefano e Vittorio. Ma il punto è che non sapendo che cosa si intendesse con la frase smozzicata riportata da Repubblica, si offrono idee interessanti ma non relative a qualcosa che abbia a che fare con le scelte che l'Italia effettivamente opererà.

Detto questo non resta che parlare di quello che si sa già. Per esempio, della preoccupazione molto diffusa che se le proposte di regole verranno da un ceto politico incompentente, allora saranno proposte pessime. Specialmente considerando la complessità della materia. Oppure, per un altro esempio, dell'altrettanto diffusa preoccupazione che le nuove regole siano relative alla libertà di espressione. Tutte questioni che nascono dall'esperienza passata. Il processo alle intenzioni, bisogna pur ammetterlo, non è una pratica molto fruttuosa. Ma resta importante avvertire chi intende prendere decisioni sulla regolamentazione di internet che il popolo della rete è molto attento. E critico.


1:48:06 PM    comment [];

Di chi è la mia identità

In poche ore sono stati rilasciati due programmi analoghi, concorrenti, intriganti e che richiedono molta consapevolezza prima di utilizzarli: Google Friend Connect e Facebook Connect. Entrambi consentono di aggiungere al proprio sito un bottone che serve a utilizzare sul quel sito una serie di funzioni da social network. In sostanza, se un sito ha aggiunto quel bottone, i visitatori che lo cliccano e che hanno un account da social network ci portano dentro le loro relazioni con amici e alcune feature per condividerne i contenuti con la loro rete sociale. Insomma, entrano su quel sito portandosi dietro la propria identità online, i propri amici e varie forme di interazione. Con il sistema di Google possono iscriversi anche se hanno un account su Google, Yahoo!, Aol o OpenId. Con il sistema di Facebook possono iscriversi se hanno un account su Facebook. (Spero di aver riassunto correttamente). Naturalmente in questo modo Google e Facebook vengono a conoscere ancora meglio le abitudini di navigazione e gli interessi dei loro iscritti.

La preoccupazione di chiunque ne senta parlare e abbia a cuore la propria privacy e quella dei suoi amici è che regalare identità e rete sociale a qualunque sito può riservare qualche sorpresa negativa. Ma è chiaro che gli internettari devono essere consapevoli di queste possibili sorprese anche se usano soltanto Facebook o altro network sociale. E allora quello che conta è che pubblichino solo quello che ritengono di rendere pubblico.

L'altra preoccupazione è quella di dare a particolari aziende informazioni preziose che queste utilizzano per esempio per essere più competitive sul mercato pubblicitario. Il che è esattamente quello che succede. E' ciò che si dà in cambio del servizio che queste aziende regalano agli utenti.

Nessun problema dunque? No, perché la consapevolezza della tracciabilità di quello che si fa online non è diffusa come dovrebbe. E perché la consapevolezza delle alternative che si possono sviluppare è altrettanto poco diffusa.

OpenId e l'open software dovrebbero essere più sostenuti per impedire che la proprietà dei dati identitari sia di qualche azienda. E la progettazione di luoghi identitari protetti e di proprietà degli utenti potrebbe essere più veloce. Il mio profilo dovrebbe stare sul mio sito e casomai essere utilizzato sui social network secondo le restrizioni che io intendo scegliere. Ma per ora non è così: il profilo, bene prezioso, è regalato ai servizi di social network... Il che è perfettamente legittimo, ma non è necessariamente la soluzione migliore.

Sta di fatto che l'identità personale non è necessariamente quella che si mette nel profilo. E la rete sociale di ciascuno non è necessariamente quella che si sviluppa su Facebook. Anzi. Sono piuttosto simulazioni di identità e rete sociale. Che però insegnano a riconoscere elementi di identità e rete sociale realmente sentiti dalle persone. E che a loro volta gratificano.

Ma è chiaro che la mia identità online non è solo mia finché è sul server di un'azienda che ne trae il suo business. E la mia rete di amici non è solo mia se è online a disposizione di tutti. Si sta formando una nuova dimensione dell'identità, un'identità pubblica che consapevolmente o inconsapevolmente si lascia crescere sulle piattaforme come Facebook. E che può avere sviluppi tanto più interessanti quanto più alimenta anche la consapevolezza di ciò che si vuole mantenere privato. (E' una discussione avviata in precendenti post). Vedere: ReadWriteWeb, Techcrunch, PcWorld.


8:29:45 AM    comment [];


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