Con molta umiltà, parliamo ancora di politica. In un blog che di solito non se ne occupa. E soltanto perché dal punto di vista dell’informazione, la campagna si sta incartando in una logica poco costruttiva.
Dal momento in cui il luogo della campagna elettorale è passato dalle piazze delle primarie e dagli uffici del governo agli studi televisivi, le notizie relative la competizione tra i partiti hanno cambiato di contesto e dunque di significato.
Per una volta sembrava si discutesse di temi di politica. Si sono alzate le aspettative per un rinnovamento. Si è sperato di discutere di agende, programmi, roadmap… Poi tutto è tornato abnormalmente normale. E la cosiddetta “offerta” politica ha ripreso ad essere dominata da logiche che assomigliano a quelle del marketing.
È del tutto evidente che in una competizione di marketing i più bravi sono quelli che lo fanno di mestiere. E gli altri perdono. Perché? Perché vengono omogeneizzati dalla macchina delle immagini: non riescono a mantenere una distanza, una diversità sostanziale, dagli avversari peggiori. Dunque sembrano peggiori.
Monti sembrava diverso. E molto probabilmente lo è. Ma da quando ha prestato il suo nome a un’aggregazione di partiti ed è entrato nella battaglia televisiva ha cominciato ad assomigliare di più agli altri. Si decodifica quello che dice in funzione dell’interesse della sua parte invece che in relazione al senso di quello che dice. Bersani sembrava aver conquistato un vantaggio incolmabile, anche perché si era confrontato su un terreno diverso, con Matteo Renzi che lo portava su un piano costruttivo e innovativo. Ora invece è paragonabile agli altri in un minestrone nel quale il sapore delle componenti si amalgama con quello dell’insieme e se ci sono ingredienti avariati, anche il suo peggiora. Indubbiamente tenta di non farsi risucchiare. Ma non sappiamo se l’alternativa – quella di stare fuori dal gioco quotidiano della polemicuzza televisiva – paghi: Grillo sta fuori ma dobbiamo ancora capire se questo lo difende o lo marginalizza. E comunque in questa tattica il suo comportamento è molto più coerente e dunque significativo.
È ora di dare una svolta alla campagna. Raccontare storie. Presentare visioni. Chiarire programmi. E mostrare come l’avversario stia semplicemente facendo rumore. Occorre descrivere una situazione nella quale i cittadini si possano riconoscere come cittadini. Fino a che si gioca a vendere un prodotto, a farne parlare purché se ne parli, a farlo sembrare al centro dell’attenzione, gli elettori non si sentono cittadini ma consumatori. E vince il venditore.
Il venditore sa per esperienza, per istinto, per professionalità, come funziona il meccanismo. Semplicemente facendo vedere qualcosa in televisione entra in gioco il priming che stabilisce il tono e il colore del dibattito. Ribadendo sempre gli stessi temi in televisione si definisce il framing, che disegna un quadro interpretativo che favorisce chi lo propone, facendo apparire rilevanti solo le notizie che vi si inseriscono coerentemente. E all’interno di questo quadro si riesce a far convergere tutti su un’agenda coerente con gli interessi di chi scandisce il ritmo del discorso.
Non è finita. Vediamo adesso che cosa succede. L’importante però è che i partiti che non ci sanno fare a vendere prodotti prendano velocemente consapevolezza di questa situazione, evitino gli errori commessi nelle campagne precedenti, scelgano una narrazione sulla quale possono prevalere. Sapendo che il primo problema è convincere i loro elettori potenziali a non stancarsi di sperare e ad andare a votare: non si può sperare di convincere molta gente a cambiare idea in un contesto iperpolarizzato; si può alimentare l’energia dei propri sostenitori potenziali. Altrimenti, quelle aspettative di cui si parlava diventano scetticismo, astensione, rischio…
E speriamo che si cominci a raccontare una prospettiva. Credibile perché fatta di storie. Intelligente perché dotata di una visione. Sul digitale. Sulle startup. Sul turismo come dimensione dell’economia della conoscenza. Sulla cultura come sorgente di energia rinnovabile. Sulla scuola come investimento fondamentale per costruire il futuro. Sulla ricerca e l’università come luoghi dell’innovazione. Sulle piccole imprese, il lavoro, la legalità, non come crisi e vincoli ma come strada di riscatto. Speriamo.
Vedi anche:
Sembra facile essere semplici (sulla questione di cambiare l’Italia)
Momenti che definiscono la prospettiva degli italiani. Nel bene o nel male
Sulla roadmap. L’agenda del paese non è un espediente elettorale: è un metodo
[…] Luca De Biase, “Elezioni e marketing degli omogeneizzati”: È ora di dare una svolta alla campagna. Raccontare storie. Presentare visioni. Chiarire programmi. E mostrare come l’avversario stia semplicemente facendo rumore. Occorre descrivere una situazione nella quale i cittadini si possano riconoscere come cittadini. Fino a che si gioca a vendere un prodotto, a farne parlare purché se ne parli, a farlo sembrare al centro dell’attenzione, gli elettori non si sentono cittadini ma consumatori. E vince il venditore. […]
le regole del matketing sono quasi più dignitose perchè ci evitano gli imbarazzanti teatrini televisivi. Non si vedono spiragli di cambiamento , non questa volta.
[…] oggi, accaduto quel che è accaduto. Di marketing e di omogeneizzati, ovvero di cosa c’è in campo oggi in vista del 24 febbraio in termini di […]
[…] Insomma la politica italiana approda alla gamification con dilettantismo e superficialità così come si è troppo spesso rifatta sinora al marketing degli omogeneizzati. […]
[…] Elezioni e marketing degli omogeneizzati | Luca De Biase. […]
[…] Insomma la politica italiana approda alla gamification con dilettantismo e superficialità così come si è troppo spesso rifatta sinora al marketing degli omogeneizzati. […]
[…] si gioca il futuro Da informazione locale a informazione territoriale Promemoria PA digitale Elezioni e marketing degli omogeneizzati Perché è tanto difficile cambiare […]