Ieri, alla Fondazione Basso, una discussione aperta su internet e democrazia ha mostrato quanto sia urgente e possibile un miglioramento significativo dei modi attraverso i quali le persone possono decidere insieme in nome di una più giusta convivenza civile.
La democrazia rappresentativa mostra i suoi limiti mentre nuove forme di intelligenza collettiva emergono dalla complessità della vita contemporanea. Compresa la sua dimensione internettiana. «L’epoca dell’ingenuità è finita» ha detto Stefano Rodotà. L’idea dello spazio internettiano libero e autoregolato si confronta con la pratica dell’influenza sempre più chiara degli stati nella struttura della rete. Mentre non c’è settore della vita che non sia in qualche modo connesso all’evoluzione della rete, la democrazia si confronta con società nelle quali i soggetti non sono più le classi, ma casomai insiemi di minoranze di persone che peraltro appartengono a più di una di esse: le identità in rete avviano la possibilità di una nuova antropologia nella quale «tu sei quello che Google dice che sei». Ne deriva anche la difficoltà dell’emersione di un discorso unitario costruttivo: il potere aggregante della rete, dimostrato nel caso della primavera araba, non è pareggiato da un altrettanto grande potere di costruzione dell’agenda comune, come si è visto dopo la rivoluzione araba nel momento in cui si doveva riempire di contenuti il risultato della rivoluzione.
Juan Carlos De Martin ha posto il tema del ruolo di internet nel quadro della possibile innovazione del sistema democratico. «Dove siamo; dove vorremmo essere; internet ci può aiutare?». I limiti dell’idea di democrazia che si esplica solo al momento del voto e della delega, i difetti enormi della partitocrazia, il ruolo del potere economico nel gioco democratico sono aspetti di una condizione riformabile. Una democrazia deliberativa partecipativa è possibile: il bilancio partecipato di Porto Alegre, di sondaggi deliberativi, i consigli consultivi, le giurie dei cittadini, sono esempi di strutture democratiche innovative che consentono di avvicinarsi a una condizione di democrazia vissuta più pienamente dai cittadini e forse con meno rischi per la moralità dei rappresentanti. Internet, dice sempre De Martin, può aiutare in quanto strumento di comunicazione che serve a realizzare questi strumenti di democrazia partecipativa deliberativa. Soprattutto tenendo conto del fatto che molti fenomeni conducono a un’allargamento della sfera pubblica internazionale.
Ma occorrono competenze importanti e consapevolezze significative per realizzare le piattaforme necessarie: conoscenza dei sistemi incentivanti, design, psicologia sociale. Perché funzionino queste piattaforme devono essere costruite con in mente la possibilità che vengano adottate. Il loro codice (software) influirà sul codice (norme) che regola la società. La loro interfaccia persuaderà a certi comportamenti: e lo farà, potenzialmente, con grandissima efficacia, se ciò che si è imparato delle piattaforme che hanno funzionato sarà ripensato per nuove piattaforme, o aggregati di piattaforme esistenti, capaci di indurre nei comportamenti di relazione in rete degli elementi di responsabilità e di razionalità e di empirismo nel trattamento delle informazioni e nel confronto delle opinioni. Ne ha parlato Fiorella De Cindio e io stesso.
Tutto questo non avrà forse una grande importanza, ha detto comunque Giulio De Petra, se non sarà accompagnato da un discorso politico rinnovato e se il pensiero su internet non sarà a sua volta adattato alle qualità del contesto attuale. Occorre una critica rigorosa dei modelli di utilizzo della rete. Occorre adattare il discorso su internet al nuovo contesto di utilizzo, dice De Petra: la crisi economica chiede una nuova piattaforma che alluda a un modello economico giusto per il nuovo contesto; l’emergere dei beni comuni chiedono una piattaforma adatta alla gestione di ciò che è di tutti e non viene valorizzato dallo stato o dal mercato; l’involuzione della politica, con partiti sempre più grotteschi, chiede una democrazia continua e un sistema di decisioni partecipato. Si esce dalla crisi, dice De Petra, solo se c’è un modello diverso; questo modello funziona solo se c’è un efficiente ricorso ai beni comuni e questi si gestiscono solo con una nuova politica. Tenendo conto di questo contesto, conclude De Petra, il ruolo di internet può essere chiaro e il suo valore importante.
Rodotà ha concluso sottolineando che c’è un problema strategico di cittadinanza: occorrerà porsi il problema del scientific citizen capace di vivere in una società sempre più innervata di fenomeni scientifici. E analogamente – verrebbe da dire – occorre porsi il problema del cittadino che vive in una società sempre più innervata di fenomeni tecnologici. Il che significa tener conto dell’influenza di chi disegna le macchine sul disegno emergente della società. E ammettere che la crisi della democrazia rappresentativa non sarà superata per la sola forza storica della democrazia rappresentativa: vanno osservate le novità che nascono dal sistema delle leggi di iniziativa popolare europee, come non si può non tener d’occhio l’emergere di opportunità – anche in rete – per la democrazia continua. Ma un fatto è certo: rispetto a qualche anno fa, il dibattito sul rapporto tra democrazia e internet è maturato. L’ingenuità è finita. E la connessione tra internet e le innovazioni costituzionali si potrebbe fare più concreta.
Relazione interessante, ricca di conferme e stimoli. Ho pubblicato un commento più ampio al’indirizzo http://www.qualcheideaperlitalia.it/blog/?p=570
[…] che senso bene comune? Stefano Quintarelli a suo tempo, ha fornito una risposta, Luca De Biase ne ha parlato a proposito del delicato rapporto con la democrazia; ho apprezzato molto Gianluigi […]